Sono circa 500.000 le persone che ogni anno muoiono in Cina prematuramente a causa dell’inquinamento atmosferico. Il dato, diffuso dalla rivista scientifica The Lancet, è stato firmato dall’ex ministro della salute cinese Chen Zhu, presidente dell’associazione medica cinese. Secondo le stime fornite dallo studio sarebbero tra 350.000 e 500.00 i decessi prematuri dovuti alle PM2.5, il particolato inferiore ai 2,5 micron, dato che contrasta con quanto precedentemente pubblicato dalla stessa rivista, secondo cui nel 2010 l’inquinamento avrebbe ucciso prematuramente oltre 1,2 milioni di cinesi. In pratica, l’aria sarebbe la quarta causa di morte in Cina, dopo la cattiva alimentazione, la pressione alta e il fumo. Ciò che è certo, comunque, è che lo scorso mese si sono verificati solo 8 giorni con aria considerata respirabile a Shanghai.
Anche Greenpeace ha condotto recentemente uno studio, guidato da Andrew Gray, esperto di inquinamento atmosferico, secondo cui in Cina il totale delle morti premature dovute alle emissioni di carbone fuori controllo ammonterebbe a oltre 250 mila. Il carbone, infatti, è la principale fonte energetica per la Cina, che non solo è uno fra i maggiori consumatori (circa la metà di quello mondiale), ma è anche il più grande utilizzatore sul pianeta terra.
Secondo lo studio esposto dal The Guardian, nelle ultime settimane, i livelli di inquinamento dell’aria rilevati sarebbero risultati altissimi con ripercussioni nocive sulla salute. E questo accade nonostante i consumi siano leggermente diminuiti e nonostante le annunciate misure di contenimento dell’inquinamento dovuto al combustibile fossile annunciate dal governo di Pechino.
Sarebbero 570, tra quelle previste e quelle in costruzione, le nuove centrali a carbone in tutta la Cina, secondo lo studio di Gray, e dal 2011 le emissioni del carbone avrebbero procurato l’asma a oltre 320 mila bambini e 61 mila adulti. I dati che emergono dal report sono allarmanti: 36 mila bambini hanno avuto complicazioni di salute alla nascita, 340 mila sono le visite in ospedale e 141 milioni i giorni di assenza per malattia dal lavoro in tutto il paese. Indice del peggioramento della qualità dell’aria è anche l’incremento di vendite di depuratori d’aria e di mascherine.
Dove sia la verità dei dati non è ancora ben chiaro, ciò che emerge però distintamente è la necessità di un’inversione di marcia. È di questo se ne è accorto anche il governo cinese: “Il governo centrale – ha dichiarato il ministro dell’ambiente cinese Zhou Shengxian – è determinato a frenare le emissioni delle industrie ad alto consumo energetico e fortemente inquinanti“. Secondo le autorità cinesi, infatti, l’inquinamento atmosferico avrebbe effetti su circa 600 milioni di persone, avendo i più alti valori di PM 2.5 di qualunque altro paese. Tra l’altro il 64% delle città cinesi non ha ancora raggiunto gli standard ambientali fissati per il 2012.
Per arginare un fenomeno sempre più macroscopico si è attivata anche la ricerca. L’università di Zhejiang propone di installare degli irrigatori sugli edifici più altri per “annaffiare” le città come si trattasse di giardini. L’idea di Shaocai Yu, ricercatore dell’università cinese di Zhejiang e di quella statunitense del North Carolina, consisterebbe nel simulare la pioggia così da diminuire gli agenti inquinanti dell’atmosfera (circoscrivendoli entro il limite dei 35 microgrammi per metro cubo nelle megalopoli cinesi) e la conseguente foschia. L’acqua impiegata sarebbe riutilizzata, per limitare gli impatti ambientali.