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Intelligenza artificiale: scoperto il segreto per costruire robot complessi

I ricercatori della facoltà di ingegneria robotica della Cornell University hanno scoperto perché, negli organismi viventi, le reti biologiche tendono ad organizzarsi in moduli

Scritto da Annalisa Arci il 04.02.2013

ITHACA, NEW YORK – Rinomati biologi come Richard Dawkins, Günter P. Wagner e il brillante Stephen Jay Gould hanno identificato nella questione della modularità il fulcro del dibattito sull’ “evoluzione della complessità”. Cosa si intende qui per complessità? Una interessante risposta viene da un contesto estraneo alla biologia.

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I ricercatori della facoltà di ingegneria robotica della Cornell University hanno scoperto perché, negli organismi viventi, le reti biologiche tendono ad organizzarsi in moduli. La scoperta, per ora corroborata da un numero molto elevato di simulazioni evolutive al computer, porterà a una comprensione più profonda dell’evoluzione della complessità con conseguenze importanti nella computer science e nell’intelligenza artificiale.

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L’articolo si intitola Le origini evolutive della modularità (The Evolutionary Origins of Modularity) ed è stato pubblicato negli Atti della rivista Proceedings of the Royal Society B da un gruppo di ricerca composto da docenti di ingegneria aereospaziale, robotica e informatica.

In biologia i moduli sono unità operative più rilevanti dei geni. Pensiamo ai vertebrati. Sul piano anatomico e funzionale i moduli sono ben esemplificati dalle singole ossa dello scheletro, ciascuna delle quali si forma da un centro di ossificazione distinto o da un numero esiguo di centri. Più in dettaglio, un modulo è un’unità anatomica che si forma da una sequenza di eventi unitaria e autonoma rispetto agli altri processi di organogenesi.

Per molto tempo l’ipotesi più in voga sulla genesi dei moduli ha fatto leva sul concetto di vantaggio adattativo. Secondo questa teoria i moduli si sarebbero formati e poi trasmessi nel corso delle generazioni perché i soggetti dotati di reti modulari sembravano rispondere al cambiamento evolutivo in modo più rapido e, quindi, sembravano avere un maggiore vantaggio adattativo. Per quanto possa sembrare una spiegazione cogente dal punto di vista dell’ereditarietà delle strutture modulari, resta poco informativa sul piano della morfogenesi e dell’evoluzione della complessità.

L’evoluzione non favorisce né produce i moduli seguendo disegni adattativi. I risultati delle oltre 25.000 simulazioni al computer sembrano semmai suggerire che una maggiore efficienza funzionale delle architetture modulari, caratterizzate da connessioni snelle e multiple, a favorire l’organismo nel suo complesso. La scoperta aiuta a spiegare la quasi universale presenza di modularità in reti biologiche anche molto diverse tra loro: le reti neuronali del cervello animale, le reti vascolari, geniche e metaboliche.

Quali applicazioni può avere questa scoperta nel campo dell’intelligenza artificiale? La creazione di reti modulari artificiali permetterà di costruire nuovi robot che possano “evolvere” acquisendo alcune caratteristiche come l’astuzia degli animali. O, almeno, questa è l’intenzione.

Il cervello di questi robot avrà infatti un network di reti interconnesse che dovrebbero essere in grado di riprodurre alcuni comportamenti complessi delle specie animali. L’imitazione della natura permetterà l’implementazione di cervelli computazionali sempre più complessi.

Riferimenti bibliografici: Hod Lipson, Jean-Baptiste Mouret,  Jeff Clune, The Evolutionary Origins of Modularity, “Proceedings of the Royal Society B”, 30, 2013.

 

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