Il primo dato che balza agli occhi e che riassume l’evoluzione dell’Agricultura in Italia è un valore apparentemente marginale: la diminuzione di quasi un quarto dal 2000 al 2010 del terreno agricolo destinato agli orti familiari. Ma è un dato molto significativo per il suo valore simbolico, ossia che l’Italia diventa sempre più un Paese lontano dalla terra e un netto importatore di prodotti agricoli e di allevamento.
La diminuzione del territorio destinato ai seminativi è sceso del 3,7% al 54,4% del totale. per lasciare più spazio a terreni destinati a pascoli e prati permanenti. Le coltivazioni legnose diminuiscono leggermente, e comprendono anche l’olivo.
La superficie complessiva destinata all’agricoltura in senso lato (che comprende anche allevamento estensivo, prati e pascoli, boschi parzialmente atti alla produzione agricola o di legname) passa dai 19 milioni di ettari del 2000 ai 17 milioni del 2010, con una perdita di 1,8 milioni di ettari di superficie coltivata. Se si pensa che nel 1990 la superficie coltivata era di 22,7 milioni di ettari, si può capire la debacle della cultura agricola in Italia.
I prati permanenti e pascoli rappresentano il 26,9% e segnano un incremento dell’1,6% gli orti familiari1 (allo 0,2% del totale contro lo 0,3% del 2000), diminuiscono del 23,9%.
Inoltre c’è una riduzione delle aziende agricole e un aumento della produzione pro-capite sia di prodotti agricoli che di allevamento. L’economia di scala ha quindi contrastato parzialmente il declino generale dell’agricoltura in Italia, che – va ricordato – nel quinto censimento (1990 – 2000) aveva diminuzioni a due cifre simili, se non peggiori, di quelle relative all’ultimo decennio.
Le cause principali di questo declino, che il censimento dell’Istat non spiega, vanno cercate nei bassissimi margini degli agricoltori. Ma il declino del classico orticello familiare fa pensare anche ad una trasformazione culturale dell’italiano, sempre più cittadino e sempre meno innamorato dei prodotti agricoli autoprodotti.