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18-25 maggio settimana mondiale della tiroide

Scritto da Maria Rosa Pantè il 18.05.2015

Prima di uscire dal ristorante vado in bagno. “Mi aspettate?” Ovviamente mi aspettano, sono amici della giovinezza e fuori c’è il freddo di gennaio.

Quando esco dal bagno mi guardano interrogativi.

Sono stata rintanata per un tempo infinito. E loro: si sono scocciati, si sono preoccupati, stavano per venirmi a cercare. Insieme ai padroni del locale desiderosi di chiudere.

Adesso che mi vedono, immobile sulla porta, tra color che stan sospesi, con gli occhi sbarrati… Con gli occhi sbarrati?

No! Ricostruzione sbagliata, informazione inquinata dal luogo comune. Nelle mie intenzioni ci sarebbero occhi sbarrati, io avrei voluto sbarrare gli occhi, per far capire il mio sconcerto sarebbe stato NECESSARIO che io sbarrassi gli occhi.

Invece.

Invece lo sconcerto, l’esitazione, l’indugio davanti allo specchio dipendevano proprio da quello, da quello, da quel fatto increscioso e nuovo.

“I miei occhi!”. Dico agli amici.

“Non riesco a sbarrarli”.

Gli amici mi guardano senza condividere la mia apprensione.

I padroni annuiscono, senza convinzione, il cliente ha sempre ragione: ma c’è un limite!

“Sono gonfi. E questo, questo è mezzo chiuso. Il destro!”

L’amica si avvicina e annuisce: “è vero, ma, secondo me, è l’altro che è gonfio, il sinistro”.

Andiamo bene: ho l’occhio sinistro gonfio e il destro semi-chiuso da una palpebra ammollata, adagiata, assettata sulla pupilla.

E questo è stato l’inizio!

Il giorno dopo gli occhi erano un po’ bovini: intristiti, immusoniti, variabilmente aperti e gonfi. Esercizi di sbarramento inutili.

Sono uscita nel freddo come piace a me, quasi scoperti i piedi, la testa riparata da svariati copricapo, copriorecchie, coprifronte sovrapposti, perché sono debole lì, nella testa. D’altronde di segno faccio Ariete, il mio punto debole è nella capa!

Torno a casa, sono fredda, fredda e io amo il freddo. Mi guardo allo specchio convinta del potere taumaturgico del gelo.

L’ala dell’inverno avrà sfiorato i miei occhi. Eccoli sono guariti, sono tornati gli occhi di mio padre, sul mio viso. Occhi famosi per bellezza e vivezza.

Gli occhi… gli occhi. Nemmeno li vedo. Lo specchio, infatti, mi rimanda un volto così strano che d’intinto guardo chi è la tipa dietro di me che si specchia al posto mio.

Questa nuova me ha occhi irriconoscibili e guance rosse, gonfie, foruncolose. Guance di mela rossa, da bambina pacioccona, da ciliegia troppo matura.

Ma dico, cosa ho a che fare io, cinquantenne, con queste guance qui?

Prima di tutto mi strizzo quegli orridi foruncoli da adolescente. Anche se il mio io adolescente ha avuto solo pelle vellutata e liscia.

Poi mi cremo il ruvido rossore ancor più acceso dalle mie attività strizzatorie.

Oliata ben bene, sono pronta per il forno: oggi croccantini di guance.

Invece di ammirarmi ulteriormente, mi precipito in farmacia. Poveri figli, che mi possono dire? “E’ il freddo!”

Onesti come sono non mi vendono prodotti miracolosi, la crema che ho a casa ve bene, benissimo: passerà.

Non è mai passato.

La pelle arrossata dal freddo, è rimasta arrossata anche a luglio!

E questo è stato il secondo segnale.

IPOTIROIDISMO!

Leggo avidamente tutte le notizie relative alla tiroide lenta, come la mia. Le analisi sono da codice rosso.

Ho la voce più bassa? Forse sì. Dunque anche le corde vocali sono ingrassate come me. Sono tutta tonda finanche nelle corde vocali, nella voce.

Movimenti tardi e lenti come le passeggiate del Petrarca (magari la sua accidia era una forma di tiroidite) e soprattutto una sorta di idiotismo. La lingua e il pensiero lenti, rotolanti a fatica dal buio fino alla luce.

Ecco diventerò una semi deficiente, grassa e con la voce da baritono.

Faccio analisi a ripetizione e dormo. Io, insonne, scopro la beatitudine del dormire.

Dormire, morire: un crollare nel buio, un gettarsi tra le braccia di Morfeo tale che non avevo mai sperimentato. Dormo, dormirei sempre, ovunque…

Leggo libri al ritmo di una riga al giorno: subito dopo cado dalla riga al mondo dei sogni. E nemmeno questo è vero, giacché il mio sonno è così vicino a uno stato comatoso che nemmeno mi ricordo d’uno straccio di sogno.

Buio e stanchezza!

L’ipotiroidismo, grasso e semideficienza a parte, mi appassiona. Scopro lati nuovi e diversi della vita. Sono calma, cioè più calma del solito, sono lenta, addirittura quando parlo scandisco tutte le parole senza mangiarne nemmeno una.

Tutti, proprio tutti, potrebbero capirmi senza salti od ostacoli nel mio eloquio smozzicato dalla fretta.

Ma perché correvo? Adesso vado piano, cammino lemme, lemme: assaporo l’identificazione con la tartaruga. La lumaca no… non lascio scie fluorescenti dietro di me.

Poi viene il momento dell’ecografia.

L’ecografia è un esame che mi lascia piuttosto indifferente e dunque lo faccio volentieri: è rapido e indolore. Niente aghi, tubi, solo la gelatina fredda: insomma una cosa da lumaca!

Attendo il mio turno, dall’ambulatorio esce un vociare minaccioso, la dottoressa è un po’ nervosa. Tocca a me.

“Si distenda e butti il capo all’indietro”.

Ubbidiente, ci provo. La testa prende a vorticare. Voglio fuggire: mi tiro su.

“Non riesco a stare cos씓Lei ci deve riuscire” e la dottoressa mi butta giù

“Non riesco” Mi tiro su.

“Sì”. Mi butta giù.

“No”. Mi tiro su.

La danza prosegue per un po’: né io né la dottoressa cediamo di un millimetro. Anzi lei si arrabbia sempre di più e brandisce la proboscide dell’eco in modo minaccioso.

Io sono ancor più spaventata e resa viscida dalla lumacosa gelatina che si sparge dal collo al resto del mio corpo. Quando la dottoressa mi afferra scivolo via.

Compare, per fortuna, un’amica, che lavora nel reparto. Capisce al volo il dramma, mio e della dottoressa, mi dà la mano. Io mi rassegno.

Il collo sacrificale è ben in evidenza. La posizione è quella dello sgozzamento, intanto stritolo la mano dell’amica. Poi l’esame finisce: mi tiro su, non svengo, il collo è integro, viscido ma non è stato sparso sangue. La tiroide? Funziona, forse. Ha dei noduli, ma pseudo. È integra, o quasi…

Poveretta!

Poveretta io. Giacché solo ora capisco che la farfalla che abbiamo alla base del collo, dal nome sinuoso: tiroide, è capricciosa, inafferrabile e onnipotente.

Inizio la cura: sto malissimo. Ovviamente ho tutti gli effetti collaterali del farmaco: sono un bugiardino vivente. Dovrebbero allegarmi al farmaco: sintesi in carne e ossa d’ogni possibile, orribile conseguenza dell’assunzione della medicina.

Sto malissimo… per i primi due giorni. Poi, inspiegabilmente, miglioro!

Gli occhi riacquistano luce e aspetto normale. Le guance si sgonfiano, le parole scivolano veloci e torno a essere di difficile comprensione, resta il sonno, dolcissimo dono della farfalla lenta.

Resta il sovrappeso… che non è solo dono ipotiroideo, ma anche affezione carboidratica.

Sono meno stanca, quanto cammino! Ho passo veloce, elastico.

Mio marito mi guarda preoccupato. Capisco che vorrebbe restassi un poco, pochino rallentata.

Un po’ di calma, santo cielo, fa bene a tutti.

Quasi quasi non faccio più le analisi.

Quasi quasi la smetto con le pastiglie.

Ma sì, libera e bella e soprattutto eutiroidea. Una parola nuova!

Cambio lavoro nel giorno dei miei 50 anni: c’è il sole, rimando il tempo delle analisi. Me la godo!

“Voglio morire?” Come mai? Penso sempre che vivere è troppo angosciante e mi chiedo perché, perché devo pensare così dato che sto meglio. Sono tonica, veloce, dimagrisco, ho gli occhi sbarrati.

Eh? ….. gli occhi sbarrati?

Mi sento in colpa verso tutti, in particolare i miei gatti. Ho sempre giocato con loro, lanciavo un urlo e poi li inseguivo squittendo, quindi piombavo su di loro, appiattiti in uno scatolone, e li strapazzavo di coccole.

Chissà se si divertivano!

Non lo faccio più. Ammutolita, immusonita, immobile. Gli occhi sbarrati. Questi orrendi occhi sbarrati.

Poveri gatti, nemmeno li accarezzo. I gatti, pare, assorbono le nostre energie negative e io sono una centrale atomica di angoscia, una fissione continua di atomi di pessimismo: sono quasi peggio di una fuga radioattiva.

Mi guardo allo specchio, intorno agli occhi sbarrati ho delle borse livide con un nome musicale: edema periorbitale. L’orbita è intorno ai miei occhi.

Le guance sono ancora e di nuovo gonfie, arrossate. Qualcuno, coraggioso, mi dice : “è il caldo!”.

Lo odio!

Non è una ruga d’espressione e nemmeno un modo buffo di invecchiare, nemmeno è l’angoscia che mi prende a pugni il volto e gli occhi!

No! C’è dell’altro e io so cosa!

È la tiroide.

Convinti tutti che dovrò risvegliare la mia ghiandola onnipotente con un aumento del farmaco, ritiro le analisi.

Stupore! Angoscia! Panico!

Un climax di terrore!

Un colpo di scena di rara intensità.

Non sono più ipotiroidea.

Non sono nemmeno eutiroidea.

Ho saltato il fosso. Sono la cosa peggiore: ipertiroidea.

Ora corro corro corro.

Infatti la beatitudine del sonno comatoso scompare. Dormo poco e male e odio il mondo.

Gli occhi gonfi si spingono oltre il limite consentito. Sono anche esoftalmica. Evviva ho imparato un’altra parola!

Corro corro corro.

Il mio cuore ha preso con impegno questa missione. La bradicardia di cui andavo fiera, che ostentavo, essendo dote di atleta, dote immeritata in me antiatletica per eccellenza, è finita! Il mio cuore ha recuperato il tempo perduto: ora balza, salta, corre nel mio petto, soprattutto quando sono seduta. Così per farmi cucù, che non resti il dubbio. Non è la fatica, non è l’amore, né il terrore a farmi balzare il cuore in petto… è la tiroide.

Sento battere il cuore soprattutto nelle orecchie. Fa abbastanza impressione questo bussare del destino. Bum, bum, bum, ziii…. Ziii?

Cos’è questo ziii? C’è o non c’è? Perché zirlo? E perché solo io sento lo ziii? Accosto l’orecchio ad ogni centimetro della casa. Mi infilo le dita nelle orecchie e ascolto. Lo ziiii c’è sempre.

“È un acufene” dice tutto contento l’otorinolaringoiatra. Ma come, un acufene? Io ho paura degli acufeni, quando alla TV parlano di acufeni io cambio canale. No, dico, è uno scherzo, vero?

E cosa posso fare per non impazzire?

“Stia calma”. Il medico mi dice proprio così. “Stia calma!” ma come faccio se lo ziii mi trapana il cervello? “Se non sta calma lo sente di più”.

Ho capito per non sentire il fischio, sempre più acuto, dovrei darmi allo zen. Lo zen e l’arte di ignorare l’acufene.

Non gli dico tutto questo al medico, perché ha uno sguardo derisorio che mi infastidisce. Ancor più mi irrita alla seconda visita. Già, perché m’è scoppiato un fiiii all’orecchio destro. M’è scoppiato di notte, avrò dormito tre ore per la paura e lo stupore.

Vado dal solito otorino e che cosa mi dice? “Stia calma”

Ma ho i fischi, la faccia gonfia.

“Si invecchia” aggiunge falsamente bonario. Mi sforzo di salutarlo e non di soffocarlo con una specie di calzascarpe che mi ha cacciato in gola per vedere se ho catarro: ce l’ho!

Una volta a casa oblitero il suo nome, il suo cellulare e la sua faccia. Da schiaffi!

Dei fischi alla fine m’han detto: “ma è la tiroide!” Anche questo???

Dormo ormai cullata da un “rumore bianco”: acqua che scorre! Acqua che scorre tutta la notte. Dormo sulla riva di un fiume, dormo ai piedi di un torrente; dormo sotto la pioggia ora più rada ora più fitta, con uccellini che variamente cantano e trillano. Ho fuso un lettore DVD, sto per fonderne un altro. A quando la fusione del mio cervello?

Anche altri malati di tiroide si lamentano dei ronzii, ma non tutti, perché la tiroide è organo curioso.

Non è argomento di conversazione: nemmeno tra ipocondriaci. Sono argomenti di conversazione: stomaco, testa, persino intestino. La tiroide apparentemente no. Apparentemente. Da quando ho la tiroide anarchica scopro che tutti, ma proprio tutti, soffrono, hanno sofferto, sanno che soffriranno, hanno amici o parenti che soffrono di tiroide…

Nelle migliori famiglie, tra i professionisti più insospettabili, soprattutto tra le donne alberga un sofferente di tiroide.

In primo luogo ci sono i “per sentito dire”. Conoscono un non “eutiroideo” non troppo prossimo a loro, ma comunque ben noto. Ipo? Iper? Non lo sanno per loro è uguale. Ti danno consigli lo stesso.

Tutti in effetti ti danno consigli (e tu ne dai a tutti, ovvio). Molti rievocano quei dolorosi momenti, per lo più ti dicono: “Ma tu non spaventarti”. Segue un elenco terrifico di disgrazie. La cosa più lieve che narrano è: ”è stato il momento peggiore della mia vita. Ma io te lo dico per farti capire che si può guarire. Io adesso sto bene. Non dormivo, non mangiavo, non vivevo. Ma non spaventarti”.

Io mi spavento! Eccome!

“Io so che l’avrò” mi dice una simpatica sconosciuta al telefono, “tutta la mia famiglia ne soffre”.

Il vicino mi fa un segno sinistro, come mi minacciasse lo sgozzamento. Lui è un fautore del levarla, la tiroide. A lui l’hanno tolta e sta benissimo. “Se la tolga, se la tolga. L’unica è toglierla”.

E io tocco ferro: vorrei rimanere intonsa ancora un po’.

Tutti hanno avuto a che fare con la tiroide di qualcuno: ma non mi sento consolata. Sento invece le ondate radioattive schiantarsi sul mio collo per giungere a lei, che immagino come una spugna o un fungo e nera, nera di uranio, plutonio, cesio e ogni tipo di metallo radioattivo o meno.

Ho la tiroide nucleare: che gravezza.

Mi manca solo il gozzo.

Mi scruto allo specchio, cerco di avere occhi a raggi x per guardarmi dentro. Sempre più dentro fino alla tiroide e poi dentro le cellule con gli ormoni impazziti e ogni singolo ormone, ogni singola cellula d’ogni singolo ormone, fino al vuoto che vibra di cui anche la mia tiroide è fatta, come me.

Ho letto troppo di fisica quantistica, mi sa, meglio tornare ai romanzi e alla poesia.

Intanto peregrino tra i medici. Fino al luminare, più luminare e costoso di tutti.

Guarda le analisi, è gentilissimo, guarda me e mi chiede: “Strano, lei è passata da ipo a iper. Ma come mai?”

E per questa domanda cui non so rispondere e nemmeno, sino ad ora, lo sa la medicina, pago più di 200 euro…

Ma come mai? Ai posteri l’ardua sentenza.

 

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