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Petizione per liberare l’orsa Pizza

Scritto da Maria Rosa Pantè il 15.11.2016

A un certo punto vengono meno anche le parole.

A un certo punto la rabbia è tale che diventa afasia. O urlo.

A un certo punto le domande, mute, bombardano il cervello: come è possibile, come è possibile che noi, uomini e donne, ci siamo ridotti così?

A un certo punto ci si sente tutto insieme: colpevoli, vittime, dolenti e rabbiosi.

A un certo punto lo sbalordimento prende il sopravvento e ci si chiede: “ma come è potuto succedere?”.

A un certo punto si vorrebbe sparire, facendo meno danni possibile.

A un certo punto di pensa che dimenticare, non sapere sarebbe dolce e che forse un qualche Dio nell’aldilà è proprio questo, la beatitudine di non sapere il dolore.

Io insisto molto sul tema degli animali, insisto sul dolore che provochiamo loro perché è sempre inutile, per futili motivi e senza confini. Perché la maggior parte dei rappresentanti dell’homo sapiens ha dimenticato che anche lui è animale e che quindi gli animali sono suoi fratelli, l’ha dimenticato e diventa un carnefice. Per futili motivi, sempre per futili motivi. Il denaro è il primo fra questi.

Un lungo preambolo che dico a voce fioca, flebile, perché sono stanca e un po’ sfiduciata, ma non abbastanza da rassegnarmi a lasciar le cose come stanno.

Sono sfiduciata, ma non abbastanza da non capire che qualche parte di umanità sa che gli altri esseri viventi hanno uguali diritti, che sono degni di amore, di cura, in sostanza di essere trattati secondo la loro natura.

Ecco il punto: la natura di un orso polare non è, non è, non è quella di vivere in una gabbia afosa e trasparente in un centro commerciale (in questo caso cinese, ma non sentiamoci migliori, noi che viviamo di allevamenti intensivi) per attirare più gente.

Eppure un orso polare (e anche un lupo, delle volpi e dei beluga) sono detenuti, loro innocenti, in un mostruoso zoo (tutti gli zoo e gli acquari e i circhi e gli allevamenti intensivi sono mostruosi), in un centro commerciale.

Una cosa spaventosa, l’orso che si chiama Pizza ed è una femmina di tre anni, ormai da segni di squilibrio mentale, passa dalla depressione a crisi isteriche e i beoti, uomini e donne, a fare fotografie… Per fortuna qualcuno col cervello e il cuore al loro posto c’è ancora, è stato fatto un video così terribile che ha indotto un milione di persone a firmare una petizione per chiedere che Pizza e poi gli altri animali siano liberati.

I padroni del centro commerciale prima hanno detto di no, poi si è giunti a un compromesso. Pizza tornerà temporaneamente dai suoi genitori in una riserva naturale e poi verrà ricondotta nel centro commerciale.

Proprio così. Una beffa per quel milione di persone e una tortura inimmaginabile per la povera orsa. C’è da augurarsi che muoia prima di tornare lì. A meno che, ameno che altre firme, altre innumerevoli firme facciano smuovere il potere e Pizza e gli altri animali siano liberati.

Ora non ditemi, “tutto questo per un orso, e i bambini, e le guerre?” Non siate tanto stupidi da non saper fare due più due.

I bambini muoiono, le guerre si fanno per lo stesso motivo per cui Pizza sta impazzendo in una gabbia di plastica: per i soldi e per la stupidità di chi si fa il selfie senza capire il dolore di una vita innaturale. Che sia umana o d’un altro qualsiasi animale è dolore e basta.

La petizione è qui firmiamola in tanti, il mondo respirerà meglio:

https://www.animalsasia.org/it/media/news/news-archive/the-tragic-polar-bear-that-suffers-for-selfies.html

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