Un assessore regionale toscano dopo le elezioni dei nuovi ‘consigli provinciali’ ha detto che ora bisogna procedere rapidi nella ‘riforma’ delle province. Ossia ora vanno definiti senza indugi i ruoli. Capito? Ma le riforme non dovrebbero mirare proprio alla ridefinizione dei ruoli – prima e non dopo – in rapporto al complessivo riassetto istituzionale tanto da ridefinire il ruolo stesso del Senato? Evidentemente ci eravamo sbagliati perché l’importante sono solo i costi e le spese, insomma roba da ragioneria, anche se poi come per le provincie qualcuno per quei servizi scolastici etc dovrà pur pagare.
Il quadro però si complica e non poco se vediamo cosa ha scritto recentemente ‘Italia Oggi’ riguardo alle regioni che, stando a Richetti, Renzi voleva abolire da 20 a 10, un disegno che qualcuno si augura sia stato solo rinviato. E se le regioni dovrebbero essere dimezzate i comuni da oltre 8000 dovrebbero passare a 1000. E’ ricorrente la cantilena che dopo 30 anni di chiacchere inutili finalmente si passa ai fatti. Ma si dà il caso che per i comuni proprio 30 anni fa un certo Massimo Saverio Giannini propose una riforma complessiva delle istituzioni e della pubblica amministrazione che prevedeva appunto la riduzione dei comuni a 1000 con ovvie implicazioni naturalmente del nuovo ruolo delle province e delle regioni le prime ora abrogate e le seconde in attesa di un destino che al momento appare comunque pasticciato e confuso.
In una recente consultazione parlamentare sul nuovo titolo V un autorevole costituzionalista ha sostenuto che la situazione che si profila al momento sembra delineare da un lato ‘regioni troppo ordinarie’ e dall’altro ‘regioni troppo speciali’. Qui mi sovviene una indagine parlamentare di molti anni fa della Commissione bicamerale per le questioni regionali – erano i tempi di Magnago a Bolzano, Melis in Sardegna, Nicolosi in Sicilia – che si concluse con un documento in cui ci si chiedeva se tanta ‘specialità’ aveva ancora un senso e non fosse più ragionevole riconsiderare il ruolo e le competenze complessive delle regioni nel rapporto con lo stato. Propositi persi per strada perché sono mancate e mancano invece come è stato detto nelle consultazioni sul titolo V ‘forme serie di cooperazione’. E da quel che si sta profilando non sembra che la strada imboccata sia questa. Ancora una volta infatti lo stato della ‘leale collaborazione’ costituzionale si preoccupa poco o nulla preferendo sbacchettare con disinvoltura a destra e a manca rendendolo poco credibile e affidabile. Si possono evitare altre ‘trovate’ tipo province ma è bene pensarci per tempo.
Renzo Moschini