Torna l’attenzione su due fenomeni che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio, la nuova ondata di emigrazione e il rilevante flusso migratorio che la Sicilia, da tempo terra di accoglienza e di transito, vive con numerose problematiche. Un interessante seminario di studi, promosso dal Craces (Centro Ricerca Attività Socioculturali all’Estero e in Sicilia) a Siracusa presso l’hotel Mercure lo scorso 29 dicembre è stato incentrato sul tema “Criticità e prospettive del mondo globale”.
L’incisivo intervento della dottoressa Alessandra Russo, dirigente generale del dipartimento Lavoro ed Emigrazione della Regione Sicilia, che ha argomentato sui risultati di un monitoraggio e studi sul fenomeno migrazione/immigrazione significante e che ne ha delineato emergenze e nuove connotazioni sia di carattere culturale che economico.
Due secoli fa, in Italia iniziava quel fenomeno di emigrazione, quell’esodo di contadini e disperati nullatenenti che partivano verso paesi lontani in cerca di fortuna perché la loro terra – la loro patria improduttiva e lacerata dalle innumerevoli crisi agrarie e dall’arretratezza tecnologica e da un sistema feudale radicato – non aveva lasciato loro altra alternativa.
Oggi, anche se in modo diverso, si ripropone un nuovo flusso di emigrazione verso tutti i paesi del Nord Europa, verso le Americhe e i paesi Asiatici; i nostri figli neolaureati cercano mercati del lavoro in grado di saper apprezzare la loro professionalità e la loro preparazione. Fuggono i nostri ingegneri, i nostri medici, i nostri “cervelli” perché il mondo del lavoro non riesce ad assorbire la richiesta di lavoro specializzata di neolaureati.
Nella migliore delle ipotesi, pur di non “partire”, i nostri giovani sono costretti ad accettare contratti come ricercatori per soli 800 euro mensili.
D’altra parte oggi l’Italia è anche terra di immigrati, gente disperata, affamata, disposta a fare anche i lavori più dequalificanti e faticosi, e tra questa gente non mancano persone di cultura, laureati che il nostro ordinamento giuridico non riconosce e sottovaluta.
Il dott. Nino Arena, giornalista e autore del libro “Sullo stesso barcone”, ci invita a riflettere sulla reazione negativa che noi italiani abbiamo quando sentiamo parlare di immigrati, extracomunitari, sull’associazione mentale del termine “immigrato” con la sensazione di pericolo, con il sinonimo di clandestino.
Anche se al primo impatto psicologicamente rifiutiamo ogni forma di accoglienza, in realtà finiamo poi con affidare a questi nostri fratelli i nostri affetti più cari, i nostri figli e i nostri familiari, quando li assumiamo come baby sitter o badanti.
In effetti il fenomeno immigrazione vede direttamente coinvolto il mondo della scuola, non solo per il suo compito di accoglienza e integrazione, ma soprattutto per il suo ruolo fondamentale di formazione e qualificazione. La scuola di oggi, se da un versante promuove e finanzia scambi culturali e progetti di accoglienza e azioni di reciproco arricchimento culturale alla ricerca di radici comuni con altre popolazioni, dall’altro lato manca completamente di mediatori culturali e linguistici capaci di farsi portatori di istanze ed esigenze elementari di bambini e ragazzi provenienti da altre culture. Agli “altri” non rimane altro che accettare e subire la nostra cultura e le nostre usanze.
La massiccia presenza di queste nuove comunità nel nostro tessuto sociale è un dato rilevante, le oltre 93 etnie presenti nella sola Sicilia sono una nuova realtà con cui dobbiamo fare i conti, e quando sentiamo parlare di villaggio globale dobbiamo pensare all’emergenza di un impegno concreto volto a superare ogni ostacolo materiale e psicologico per una vera integrazione, che è presente oggi in casi sporadici. Una proficua attività di rete tra scuola, istituzioni e agenzie economiche e formative è senz’altro un punto di partenza vincente, come ad esempio si propongono di fare lo stesso Crases e l’Assessorato regionale siciliano del Lavoro e dell’immigrazione.