Se è vero che i libri possono essere uno specchio della società, quindi raccontare ciò che siamo e ciò che proviamo, nell’ultimo mezzo secolo si registra un’impennata della paura, a svantaggio delle altre emozioni. A rilevarlo è una ricerca britannica pubblicata sulla rivista Plos One, con primo autore un ricercatore italiano, l’antropologo Alberto Acerbi dell’Università di Bristol. Un’intuizione che è destinata a durare e che ci parlerà di noi.
Le emozioni sono considerate un affare privato, mutevole, spesso difficile da riconoscere in modo preciso negli altri. Spesso infatti vengono sottintese, sono velate, oppure, in modo diametralmente opposto, vengono messe sotto gli occhi di tutti. Addirittura si leggono, si sfogliano nella pubblica piazza. Sì, attraverso i libri si esprimono anche le emozioni di una società. “ Ma possiamo tracciare gli stati emotivi di un’intera società, anche attraverso epoche diverse?” Questo il quesito successivo, quello che ha dato il via allo studio del ricercatore italiano Alberto Acerbi dell’Università di Bristol. Se si può analizzare il presente da un punto di vista emozionale, perché non lo si può fare con il passato? Un’intuizione che ha trovato attuazione pratica in un’analisi su ampia scala, circa 5 milioni di libri inglesi, condotta in un anno circa di lavoro, per cercare l’espressione delle emozioni nei libri dell’ultimo secolo. Un’umile strategia, per un affatto umile proposito.
“Il tutto è partito – come racconta l’autore – anni fa, da una precedente ricerca connessa a Twitter. Poi la ricerca si è ampliata. Insieme ad Alex Bentley e Philip Garnett abbiamo iniziato a sondare il Google Ngram database, che contiene più di 5milioni di libri e ci siamo focalizzati sui libri in lingua inglese pubblicati tra il 1900 e l’anno 2000. Le parole che riguardano le emozioni sono poi state suddivise in sei categorie principali, che si riferiscono alle sei emozioni principali: rabbia, disgusto, paura, gioia, tristezza e sorpresa. Per ogni emozione abbiamo stilato una lista di centinaia di parole chiave, semanticamente connesse con l’emozione principale. Per esempio, per “rabbia” ci sono termini connessi come disprezzare, invidioso, esasperato, irritato e altre ancora; per “gioia” c’è invece: lieto, felicità, entusiastico, eccitato e così via.” Ma quali libri sono stati esaminati? Un’enorme mole di materiale che raggruppa tutto, da Hemingway ad auto pubblicazioni minori, trattati di giardinaggio e manuali sul fai da te. In tutto sono circa 5milioni.
All’inizio la sorpresa dei ricercatori è stata vedere come emozioni positive o negative fossero connesse a eventi storici. La seconda guerra mondiale, per esempio, è stata segnata, come riferiscono gli autori e come del resto può sembrare ovvio, da un aumento di parole connesse semanticamente a “tristezza”, in diminuzione invece le parole esprimenti “gioia”. Il risultato più interessante è arrivato in seguito, quando si è osservato che le parole che esprimevano in generale le emozioni hanno iniziato a diminuire nel corso dell’intero secolo esaminato. Tutte, tranne una: la parola “paura”, che invece ha iniziato ad apparire sempre più spesso tra le pagine dei libri a partire dagli anni 80. Cos’è successo? Siamo diventati tutti degli zombie privi di emozioni, si sono chiesti gli antropologi? Forse, ma non solo. Le parole stesse possono essere cambiate. Oppure sono state eliminate, sostituite dalla pure azioni scatenanti. Oppure, ed è ciò che di più straordinario si può osservare oggi, è che sempre più persone creano quantità enormi di dati, twittando, postando, o “messaggiando” il loro status via Facebook, Watsup, altri social network o blog.
Quindi, se da un lato i libri risultano essere meno “emozionali”, dall’altro lato, cosa sta succedendo alla società? “Mi piace pensare che, durante il 20esimo secolo, altri media quali radio, tv, film e Internet, siano apparsi e il contenuto emotivo, o alcuni modi di esprimerlo, sia slittato lì, quindi dai libri verso altre vie di comunicazione”. E la ricerca non si ferma qui. Come anticipa Alberto Acerbi andrà avanti, proprio perché è sempre più stimolante “ Vorremmo cercare di capire cosa vuol dire questo cambiamento a livello culturale, come evolverà la memoria storica delle emozioni, perché più il bacino a cui attingere diventa grande, maggiori sono le informazioni e sempre più intelligenti diventano i modi per filtrarle: un lavoro per noi assolutamente stimolante.”
Quindi davvero abbiamo più paura? “Il passaggio dai libri alla realtà non è immediato, – risponde Alberto Acerbi – ma tendiamo a dire che potrebbe essere così, prendendo dati da un campione molto vasto; la finalità del nostro lavoro è l’interesse di come cambia la cultura umana, attraverso l’esame di dati quantitativi. Visto che questi dati sono a nostra disposizione da pochi anni, sono un elemento molto interessante da sondare e da cercare di esplorare in modi sempre migliori”.