Massimo Cacciari, professore di Estetica presso l’Università San Raffaele ed ex uomo politico italiano, ha risposto ad alcune domande dei giornalisti presenti alla conferenza stampa del Festival di Filosofia di Modena. Gaianews era presente e abbiamo colto l’occasione per chiedere all’ex sindaco di Venezia da dove origina l’atteggiamento di noi occidentali verso lo sfruttamento delle risorse naturali. Si è parlato anche della decadenza dal pensiero alla chiacchiera e delle attuali condizioni politiche ed economiche nazionali e internazionali, fino ad un’analisi spietata del pensiero tecnico imperante, che in un certo senso per noi chiude un cerchio con la domanda iniziale. Di seguito, domande e risposte della parte più interessante della conferenza stampa.
Domanda: Da dove deriva l’atteggiamento di sfruttamento che noi occidentali abbiamo nei confronti del pianeta? Dai greci, dalla cristianità? Inoltre, lei ha detto che la storia si ripete. Mi sembra che quello che sta accadendo oggi non abbia nulla di paragonabile nel passato. Vediamo la Terra come una risorsa finita e la popolazione mondiale aumenta, e non so se questo si sia verificato prima…
Beh, insomma, la storia è molto lunga. E comunque, tutta la filosofia della tecnica e del fare contemporaneo hanno chiarito il passaggio per cui si è giunti ad una condizione per cui la natura è diventata un insieme di enti a nostra disposizione, un insieme di enti inanimati a nostra disposizione. Probabilmente questo timbro non era evidente nella grecità, anche se quando leggiamo nell’Antigone vediamo la figura di questo uomo che calpesta la Terra, che soggioga gli animali, e da lì già si avverte il timbro di un fare impositivo nei confronti della natura. Poi, probabilmente, già col termine latino di natura e poi ancora con la rivoluzione tecnico scientifica cinque-seicentesca avviene veramente la trasformazione totale della nostra idea di natura come pura res extensa a nostra disposizione, trasformabile, manipolabile a piacere, fino alla frase fatale di Bacone: “il vero nome della cosa è detto utilitas“, è in quanto è utile.
Questa è l’idea della natura, che è durata fintantoché è sorta questa idea di limiti nello sfruttamento della natura. Non è che sia cambiata l’idea di natura, semplicemente questo oggetto, la res extensa, a un certo punto ci si è interrogati, ma la sua sfruttabilità è infinita? Non è che sia cambiata l’idea di natura, a un certo punto è venuta a mancare la natura, sotto specie di petrolio… eccetera. Allora è iniziato un diverso approccio alla natura, non una nuova idea della natura. Sì, ci sono forse correnti che vogliono riattingere a qualche timbro originario di una natura, come diceva Plotino, grembo degli dei, ma chiaramente se uno venisse a raccontare questa storia, anche i più accaniti ecologisti lo deriderebbero.
Quindi la natura oggi è per noi res extensa inanimata, probabilmente non era così nel timbro originario greco di physis, ma di queste cornici sapienziali, come si sa, ne abbiamo qualche frammento, e tante fantasie, invece, dei filosofi contemporanei.
Domanda: Scusi, professore, sempre riguardo all’analisi del momento [storico] che stiamo vivendo, diceva Solone che “invecchio imparando sempre”. Cosa possiamo imparare da questo momento?
Intanto non sono d’accordo che invecchio imparando sempre. Piuttosto, in vecchio dimentico sempre, anche quello che avevo imparato. E’ molto consolante dirselo, ma non è vero. Dalla storia impari, forse, se la pratichi filosoficamente, le grandi epoche in cui queste grandi idee, come questa della natura, si sono andate trasformando radicalmente, e insieme impari alcune regolarità. Non impari altro dalla storia. Questo era anche l’insegnamento dei nostri disincantati umanisti. Quando Macchiavelli tratta di Tito Livio cosa ne trae? Alcune regolarità. Bada principe, bada politico attuale che ci sono queste regolarità della storia. Non credere che tutto nasca con te e tutto crepi con te, ci sono queste regolarità. Quindi io, storico, che interpreto filosoficamente la storia, non che faccio una narrazione, ma che la vedo per idealtipi, dico: bada che queste condizioni producono questi effetti, perché le hanno sempre prodotte, quindi attento, studia la storia perché ti insegna non le leggi del divenire eccetera, ma alcune regolarità. Atteggiamento molto scientifico, fondamentale anche per la politologia contemporanea, non leggi del divenire storico ma regolarità, e atteggiamento che è proprio dei nostri più grandi umanisti, il Macchivelli, il Guicciardini.
Domanda. Esiste ancora oggi questo atteggiamento?
Ma sì, nella politologia più avveduta sì. Anche in Italia abbiamo grandi politologi che trattano esattamente così i materiali [storici], come Panebianco o altri. Solo che oggi i materiali sono cresciuti così a dismisura, una volta Macchiavelli poteva impostare un lavoro di questo genere leggendo Tito Livio, adesso per fare un lavoro di tipo comparatistico tra centomila regimi, conoscienze dettagliatissime di diecimila epoche storiche, diventa un lavoro di una complessità spaventosa. Anche da questo punto di vista, le esigenze del sapere oggi per potere efficacemente sono cresciute a dismisura. E questo rende anche facile la scorciatoia verso la frase, verso la chiacchiera, perché il sapere effettivo è diventato di una complicatezza straordinaria. Capite anche la ragione per cui alla fine ci si arrangia con la chiacchiera.
Domanda. Quindi vince chi è più bravo a confondere le acque?
Vince chi è più bravo a convincere. Allora sei tornato a quella figura del sofista, che già anche allora si diceva essere nell’Atene classica colui che lusinga il demos (popolo in greco, ndr.), il lusingatore del demos eccetera. La figura classica del sofista che convince il demos con la chiacciera e non col sapere era storicamente nella Grecia classica Euristeo.
Domanda. Professore, noi siamo passati dal grande percorso delle ideologie dell’Ottocento del Positivisto e poi del Materialismo. Ora l’interpretazione che rimane della realtà è l’irrazionale? Non c’è più una lettura della realtà che possa passare attraverso, lei ha parlato di regole, stasera parlerà di possibilità, non c’è più una chiave di lettura che conseenta di capire la realtà in modo chiaro se non affidandosi alla fortuna – o al fato, come diceva Macchiavelli?
No, ho detto che è possibile uno studio che non soltanto riconosca alcune regolarità, ma anche una definizione di grandi epoche, i grandi trapassi che la nostra – chiamiamola – civiltà ha conosciuto. Questo è un lavoro possibile. Quello che è diventato anche logicamente impossibile, anche dopo le filosofie più avvedute dello scorso secolo, è trarre previsioni scientifiche sulle forme che assumerà il divenire. Il fondamento delle grandi discipline dell’Ottocento che hanno influenzato anche i primi 50 anni del Novecento, era che attraverso l’analisi dei fatti fosse possibile costruire le leggi del divenire storico. Questo è chiarissimo in Marx come nel Positivismo, ma anche nel Liberalismo, perché anche nel Liberalismo questa pretesa esiste eccome. Perché il nocciolo della pretesa liberale è tutto sommato non lontano da quello marxiano, un nocciolo tutto sommato anarchico, perché il dispiegarsi delle forze di mercato, delle forze economiche sarebbe giunto ad un punto di tale intrinseca maturità da rendere superflua la macchina statuale. Quindi, soprattutto negli Stati Uniti, questa corrente, diciamo così, anarchica del Liberalismo è chiarissima, e sono proprio i padri fondatori dell’ideologia americana ad avere questa idea, Thoreau, Emerson. Ed Emerson viene letto in Europa da Nietzsche, ed in Nietzsche l’istanza antistatuale è fortissima.
Tutte queste ideologie pretendono che, da una lettura del passato – es. la storia fin qui è stata la storia di lotta di classe (Marx) – si poteva prevedere scientificamente. La critica di Marx agli utopisti è questa, la mia previsione è scientifica, io sono scienziato, voi no. La fondazione scientifica della politica, che è prassi prevedente, una politica scientificamente fondata. Questo valeva per i Positivisti, per i marxisti come per i liberali e per tutte le grandi ideologie, e trapassa anche nelle ideologie del Novecento, nelle ideolologie totalitarie per esempio, che tutte prevedono dove si andrà a finire, e dal punto di vista economico, e da quello culturale, ed addirittura da quello biologico, razzistico. Per fortuna di tutto ciò ci siamo liberati, e non torneranno mai più queste idee, anche se poi, magari surrettiziamente da qualche parte rispuntano, come ad esempio quando si pensava che la globalizzazione potesse significare una uniformazione non solo dei nostri comportamenti economici, ma acnche comportamentali, etici. Anche quelle erano idee della storia che derivavano dalle idee progressiste maturate nell’Ottocento.
Cosa vuol dire questo? Che siamo avversati nel puro caso? No, perché possiamo trattare la storia un po’ come la natura, con leggi statistico probabilistiche di cui ho parlato, e questo è un lavoro che dovranno fare soprattutto i politologi, mentre i filosofi dovrebbero chiarire il concetto di storia, come è nato, come si è trasformato e così via. E poi, soprattutto, i filosofi dovrebbero guardare come nelle grandi epoche storiche si è dato un orientamento di senso alla nostra civiltà. Oggi questo orientamento non è visibile? Ma certo che è visibile, può piacere o non piacere, va comunque criticato, nel senso che bisogna pensarlo, ma è evidente che ha un orientamento potente, ed è che tutti i problemi dotati di senso devono (secondo il pre-giudizio corrente) essere impostati in chiave tecnico scientifica e soltanto il complesso tecnico scientifico è capace di risolverli. Questo è l’orientamento fondamentale della nostra epoca, e tutto ciò che non è dicibile in questi limiti non ha senso, è niente. E questa visione non è contraddetta affatto da una vaga spiritualità, una religiosità, la new age, eccetera eccetera, nient’affatto. Quella è la suppellettile ornamentale di questo paradigma di fondo, che si orna di quanche predicatore, di qualche spiritualià da College americano, ma l’orientamento fondamentale è questo.