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Libia, armi in mano ai bambini nelle foto Reuters circolate nei giorni scorsi

Scritto da Chiara Pane il 22.07.2011
Armi in mano a bambini libici. Fonte Reuters

Armi in mano a bambini libici. Fonte Reuters

La guerra civile in Libia non si arresta e gli orrori aumentano. Scioccanti le foto realizzate dall’ agenzia Reuters e pubblicate qualche giorno fa sul sito del tabloid britannico Daily Mail, che ritraggono bambini con in mano armi di vario genere.

In Italia la notizia è stata riportata dal quotidiano Libero. I bambini lavorano insieme ai ribelli nei laboratori improvvisati in cui si costruiscono armi e auto blindate da inviare sul fronte contro le truppe lealiste. Le foto li ritraggono mentre “marciano” con fucili lunghi quasi quanto la loro altezza. Sembra che non solo collaborano alla costruzione e alla riparazione delle armi, ma verrebbero anche istruiti sul loro utilizzo.

Difficile credere che all’età di 8 anni un bambino sia già in grado di sparare. Pensare che gli stessi possano essere anche inviati a combattere è insopportabile, ma non sarebbe una novità. Sono almeno 300 mila i bambini sotto i 14 anni che, secondo l’Onu, sono impegnati con ruoli attivi nelle guerre del mondo. La maggior parte combatte proprio in Africa, nelle tante «guerre dimenticate» in Sierra Leone, Liberia, Congo, Sudan, o Somalia. I bambini hanno cominciato a essere impiegati in modo massiccio nei conflitti dagli anni ’80 (Angola, Cambogia, Guatemala). Ma il fenomeno dei bambini soldato è andato via via crescendo grazie anche all’abbassarsi del peso delle armi. Un kalashnikov oggi non supera i quattro chili, un peso abbordabile anche per un bambino di otto anni.

Necessaria una reazione della comunità internazionale che deve condannare questi riprovevoli comportamenti, sarebbe insopportabile pensare a bambini che combattono a fianco delle forze Nato che cercano di sconfiggere le milizie del dittatore Gheddafi.

Nel frattempo dall’Italia Frattini allontana l’ipotesi di sospensione dei bombardamenti delle forze alleate in occasione del Ramadan, il mese sacro dei musulmani. “Se il Ramadan è un salvacondotto per uccidere i civili, questo non lo possiamo consentire. Tecnicamente, quello che occorre per difendere i civili proseguirà”, ha precisato il ministro.

La risoluzione del conflitto sembra ancora molto lontana. Il Colonnello durante un’altra delle sue apparizioni radio-televisive ha affermato la sua volontà nel proseguire la battaglia contro gli infedeli ribadendo di non voler abbandonare il “suo Paese”.

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