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Saviano candida un camerunense ribelle a sindaco italiano

Saviano ha presentato al grande pubblico Yvan Sagnet, camerunense innamorato dell’Italia e scrittore di “Ama il tuo sogno”, in cui racconta la sua avventura e la lotta per i diritti degli immigrati

Scritto da Chiara Pane il 07.11.2012

Lunedì sera alla trasmissione di rai 3 “Che Tempo che fa” è intervenuto Roberto Saviano per raccontare la storia dello sfruttamento degli immigrati che lavorano come braccianti, ma anche la forza e la determinazione che li ha spinti a reagire e a ribellarsi al potere della criminalità organizzata e ai loro caporali. Protagonista Yvan Sagnet, camerunense innamorato dell’Italia e scrittore di “Ama il tuo sogno”, in cui racconta la sua avventura e la lotta per i diritti degli immigrati.

Saviano introduce il suo monologo spiegando al pubblico italiano come l’intera filiera dal raccolto, al trasporto e alla produzione dei pomodori sia gestita dalle organizzazioni criminali. Lo scrittore chiarisce il suo intento: parlare di “qualcosa che dimostri davvero quanto il potere criminale arrivi ovunque e quanto il problema della legalità ci riguardi da vicino, persino quando facciamo la cosa più semplice del mondo, magiare un piatto di pasta al pomodoro”. Nelle prime battute Saviano dimostra come “non esiste un solo punto che non sia controllato dalle mafie”, etichettando il fenomeno “federalismo criminale”. Un business che conta circa 50 miliardi di euro l’anno. A rimetterci sono i consumatori, costretti ad acquistare prodotti ad prezzo 30 volte superiore alla norma.

Punto focale dell’intervento di ieri è stato però lo sfruttamento che si cela dietro al raccolto dei pomodori. Raccontando la storia di Yvan Sagnet, Saviano ha voluto sottolineare che “Gli immigrati arrivano in Italia non solo a fare un lavoro che gli italiani non vogliono più fare, ma anche a difendere diritti che gli italiani non vogliono più difendere”. Sagnet è un giovane camerunese, nato nel 1985, che negli anni ’90 seguì il mondiale di calcio e si innamorò del calcio italiano. Da quel giorno l’Italia divenne il suo chiodo fisso. Riuscì ad arrivare nel nostro Paese nel 2007 grazie ad un permesso di studio e ottenendo una borsa di studio dall’università di Torino, per la quale però la famiglia dovette garantire, con grandi difficoltà, una caparra di oltre € 4000. Per mantenersi, Yvan si impegna in un lavoro che “considera il simbolo dell’integrazione”, commesso in un supermercato nei week end.

Nell’estate del 2011 non trovando lavoro a Torino decide, su consiglio di alcuni amici, di trasferirsi in Puglia, a Nardò, vicino Lecce per lavorare come bracciante. Qui la realtà che lo attende è simile ad un incubo e si incarna nella parola caporalato. A gestire il lavoro degli immigrati sono altri immigrati, i cosiddetti caporali, “immigrati che hanno fatto carriera” come li chiama Saviano, uomini senza scrupoli manipolati dalle organizzazioni criminali. Il lavoro inizia nella notte, quando un furgone da 10 posti riempito con più di 25 persone li accompagna nei campi. Qui si lavora per 15 ore sotto il sole cocente e la paga è di € 3,5 per ogni cassone da 3 quintali riempito. Saviano racconta che la prima volta Yvan riuscì a riempire solo 4 cassoni, guadagnando € 14 per l’intera giornata. Lo scrittore denuncia però che a questa paga, che per i più esperti poteva arrivare anche a circa € 30, dovevano essere sottratte le spese, come il trasporto obbligatorio con il furgone per cui bisognava pagare € 5; o il costo dell’acqua, necessaria per sopravvivere lavorando a temperature che superavano i 40°C, di € 1,50; o ancora il costo del pranzo e della cena, anche questi gestiti dai caporali, per cui si poteva arrivare a € 7-8 complessivamente; a cui bisognava aggiungere il costo del materasso usato su cui si dormiva (€5); ed infine un eventuale trasporto in ospedale ammontava a € 10.

Saviano racconta che Yvan si stava abituando a quella vita senza dignità, sottostando non solo al duro lavoro, ma anche alle angherie dei caporali, quando accadde qualcosa. Un giorno su direttiva del proprietario italiano, i caporali ordinarono ai braccianti di cambiare metodo di raccolta, non si doveva più strappare la piantina alla radice e batterla sulla cassetta per far cadere i pomodori, ma bisognava raccogliere i pomodori uno ad uno per evitare che si rompessero, perché dovevano essere venduti ai supermercati per le insalate. Considerato il maggior tempo richiesto per la raccolta, gli immigrati chiesero di essere pagati € 6 per ogni cassone riempito, ma i caporali non accettarono. Per la prima volta, gli immigrati decisero di non sottostare ai caporali e si ribellarono, incrociarono le braccia e smisero di lavorare. Yvan Sagnet era colto e aveva idee, divenne così un leader di quella rivolta, che guadagnò eco nazionale attirando nella Masseria Boncuri, doveva vivevano 500 immigrati, giornalisti e forze dell’ordine che documentarono i fatti. A seguito dello sciopero e delle successive indagini, il 14 settembre del 2011 è stato istituito in Italia il reato di caporalato, rendendo illecita una pratica esistente da oltre un secolo, come denuncia lo stesso Saviano nel suo intervento.

Sul palco è salito poi lo stesso Sagnet, evidentemente emozionato, che ha letto alcune parole ricordando che lo sfruttamento e il caporalato in agricoltura sono problemi nazionali, evidenziando che “Tre prodotti su cinque che finiscono sulle nostre tavole provengono dalla riduzione in schiavitù dei braccianti stranieri”. Per Yvan la parola d’ordine è “dignità” e per questo auspica che i controlli vengano intensificati, poiché la scarsa vigilanza da parte dello stato favorisce il lavoro nero. Il giovane camerunense ha anche chiesto il collocamento pubblico per favorire l’incontro tra domanda e offerta e l’utilizzo dei beni confiscati alle mafie per alloggiare i lavoratori meno abbienti. Poi ha definito disumano, nell’era del precariato, il legame tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno previsto dalla legge Bossi-Fini. Sagnet ha concluso il suo discorso parlando di un sogno, ovvero “che un bambino nato in Italia da genitori stranieri, che cresce in Italia, che frequenta la scuole italiane, si sentisse e fosse riconosciuto pienamente cittadino italiano”.

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