Siria, non c’è fine agli orrori di una guerra civile che dura ormai da tre anni. Il presunto uso di armi chimiche nei sobborghi di Damasco, che ha provocato la morte di centinaia di civili, ha innalzato l’allerta internazionale. Usa, Francia e Gran Bretagna pensano ad un intervento militare, fortemente osteggiato da Russia e Iran.
Le foto e i video delle stragi del 21 agosto stanno facendo il giro del mondo, mentre ribelli ed esercito si accusano reciprocamente. Le pesantissime accuse rivolte contro Bashar El Assad, sono considerate infondate dagli alleati di sempre. Di fronte al lavoro degli ispettori delle Nazioni Unite, chiamati in territorio siriano per accettare l’uso di armi chimiche, il portavoce del ministero degli Esteri, Alexander Lukashevic, inveisce contro l’opposizione siriana, insistendo sulla tesi della “provocazione” e sostenendo che il materiale che addita l’esercito siriano di aver usato le armi chimiche era stato preparato prima dell’attacco.
Nel frattempo é giunta in Siria anche Angela Kane, alto rappresentante ONU per gli affari del disarmo, al fine di premere sul regime siriano affinché acconsenta agli ispettori internazionali, già presenti nel Paese, di visitare i luoghi del presunto attacco chimico nel quale sono morte, secondo gli attivisti, oltre mille persone.
Se gli ispettori ONU stanno agendo in modo cauto e non si sono ancora pronunciati, a confermare l’utilizzo delle armi chimiche nella regione di Damasco é stata l’organizzazione internazionale Medici senza frontiere (MSF). L’ ong ha riferito il ricovero e la morte di diversi soggetti che “presentavano sintomi neurotossici”. In un comunicato pubblicato ieri sul sito di MSF, Bart Janssens, direttore delle operazioni dell’ong, ha spiegato le condizioni cliniche dei pazienti giunti negli ultimi giorni negli ospedali siriani, parlando di “un gran numero di pazienti giunti con sintomi quali convulsioni, eccesso di salivazione, pupille ristrette, visione offuscata e difficoltà respiratorie”. Janssens ha poi aggiunto: “MSF non può né confermare scientificamente la causa di questi sintomi, né stabilire chi è responsabile per l’attacco. Tuttavia, i sintomi dei pazienti, in aggiunta al quadro epidemiologico degli eventi – caratterizzato dal massiccio afflusso di pazienti in un breve lasso di tempo, dalla provenienza dei ricoverati, e dalla contaminazione dei medici e del personale sanitario – indicano chiaramente l’esposizione di massa ad un agente neurotossico”.
Le dichiarazioni di MSF hanno convinto la Francia, che si é pronunciata a favore di una “reazione forte”, come ha dichiarato il ministro degli Esteri Laurent Fabius da Ramallah. Dello stesso avviso é il primo ministro inglese David Cameron. Il presidente americano Barack Obama é più cauto, e pur non escludendo nessuna opzione, si é detto pronto ad un intervento militare solo a seguito di un chiaro mandato ONU. A tal proposito un funzionario della Casa Bianca ha precisato ai microfoni dell’agenzia AFP: “Abbiamo una vasta gamma di opzioni disponibili, che stiamo valutando ponderatamente in modo da prendere decisioni in linea con i nostri interessi nazionali, e stiamo valutando le soluzioni migliori da adottare in Siria”. La cancelliera tedesca Angela Merkel si é invece espressa contro un intervento militare, premendo per una “soluzione politica”. La stessa soluzione politica che il Consiglio delle Nazioni Unite auspicava di raggiungere sin dallo scoppio della crisi, ma che evidentemente non si professa possibile. Dal canto suo l’Iran digrigna i denti contro chiunque attacchi l’amico.
Dall’Italia si leva la voce di Papa Francesco che prega affinché “si fermi il rumore delle armi”.
“Faccio appello alla Comunità internazionale – ha detto Bergoglio – perché si mostri più sensibile verso questa tragica situazione e metta tutto il suo impegno per aiutare la cara Nazione siriana a trovare una soluzione ad una guerra che semina distruzione e morte” [fonte La Repubblica].
La Comunità internazionale, invocata dal papa, continua però ad essere in grave difficoltà di fronte ad una crisi la cui soluzione appare non solo difficile, ma oggi più che mai, lontana da una risoluzione pacifica.