Gaianews

Fanny & Alexander, il mito di Dorothy e del Mago di Oz al festival Ipercorpo di Forlì

Scritto da Federica di Leonardo il 21.09.2010

Domenica 12 settembre Fanny & Alexander hanno presentato il loro ultimo libro, O/Z Atlante di un viaggio teatrale, stampato nella collana I Libri Quadrati della Ubulibri, al Festival Ipecorpo di Forlì.

La presentazione si tiene nel cortile dei Magazzini Interstock, sede del gruppo Città di Ebla, che organizza il festival. Sono presenti alcuni critici e attori che hanno partecipato alla stesura del libro: Fiorenza Menni, Pathosformel, Serena Terranova e Marca Cavalcoli. Siamo seduti in cerchio e da subito la presentazione acquisisce un carattere di conversazione intima, che si produce sul momento partendo da necessità interne.

Fanny & Alexander è costituito da Chiara Lagani e Luigi De Angelis ed è attivo dai primi anni  ’90. Ama definirsi “una bottega d’arte”. Propongono, dicono loro, un teatro “barocco” nel quale le cose non siano mai bianche o nere, ma siano indagate nelle loro infinite sfaccettature, attraverso tutte le domande possibili.

Il libro che presentano è il tentativo di creare una testimoninza del lavoro, durato tre anni , sul Mago di OZ. In 3 anni il lavoro sul “mito” di Dorothy e del Mago di Oz ha prodotto 9 spettacoli. Per questo Chiara Lagani ci spiega che è nata la necessità di creare un atlante per stabilire itinerari, orientarsi e, perchè no, custodire le memorie di un viaggio.Ma come organizzare la nascita di un tale atlante, cartina di tornasole di tante esperienze, ricerche, vissuti?

Lagani e De Angelis si ispirano al metodo immaginale di Aby Warbourg in “Mnemosyne”. Decidono di affidarsi al potere evocativo di un’immagine, coinvolgendo 37 compagni di viaggio, invitandoli a scrivere ciò che quell’immagine, corredata da un titolo, evoca in loro. Le immagini sono patchwork, collage, composizioni di immagini dalle più disparate provenienze; cosa che amplifica il potere “immaginale” dell’operazione.

La consegna è di non superare un certo numero di battute e di fare riferimento strettamente all’immagine, di rispondere alle domande che l’immagine rivolge: a volte, dice Chiara Lagani, l’immagine può essere molto più precisa delle parole. Così gli autori coinvolti sono invitati a entrare nel piccolo labirinto dell’immagine e, per farlo, devono necessariamente incontrare la possibilità della perdita.

La parola passa a Luigi De Angelis, che ci spiega in che modo sono state scelte le immagini. Prima di tutto Chiara e Luigi hanno creato un numerosissimo archivio; la composizione dell’immagine, invece, è avvenuta cercando una formula “sentita”, “patita”, che desse senso ad un nodo tematico che coinvolgesse il destinatario della consegna. Come se le tavole delle immagini fossero delle dediche per ogni singola persona. L’immagine, in ultimo, doveva fungere da sismografo che cogliesse le scariche di atomi ben precisi, nell’intento di scatenare e cogliere una genuina epifania di senso.

Luigi passa la parola ai ragazzi di Pathosformel: il titolo per la loro immagine è Attesa. Questo tipo di metodo è molto vicino alla pratica teatrale e comporta contemplazione e necessità di movimento. Il legame fra le immagini esiste, ma non è scientifico. Sono immagini che non possono avere una sola didascalia: questo rende il metodo affascinante e proprio questo diventa il metodo per approcciare l’esperienza e viverla. Inoltre  i Pathosformel hanno trovato una congiunzione immediata con il loro lavoro, perchè per mesi hanno lavorato ai gesti dell’attesa; per questo la ricerca dei nessi fra immagini tanto distanti e provenienti da contesti diversi ha trovato un percorso di senso con la loro pratica teatrale.

A Marco Cavalcoli, uno degli attori del progetto su Oz,  è stata assegnata la parola Him. Him, nel lavoro su Oz è un personaggio ispirato ad un opera di Maurizio Cattelan, nella quale, entrando in una sala, si vede un ragazzino inginocchiato, come in preghiera. Quando lo si guarda in volto si riconosce quello di Hitler e si resta ghiacciati nello sgomento di quest’accoppiamento che pure siamo stati indotti a vivere. Cavalcoli ammette di non avere potuto fare a meno di partire dal titolo che gli era stato assegnato. Him è, come il fantoccio di Cattelan, simbolo di ambiguità, un vigliacco assassino che minaccia Dorothy proponendole una missione impossibile, che in ultimo, inaspettatamente, si rivela essere come “uno zio di campagna”. Him è un complemento oggetto, esterno a noi. Cavalcoli ci racconta che, nonostante tutto, fare proprio il personaggio di Him è impossibile. Him è, per sua natura, imprendibile, pericoloso e irraggiungibile. Questa delicata, sensibile, leggera e profonda testimonianza ci colpisce. L’essere imprendibile di Him non riguarda forse la tragicità di un personaggio, ma lo specchio di quella stessa tragicità in noi. Per questo, forse, Cavalcoli dice di non riuscire a possedere Him e di non potersene disfare.

La testimonianza che segue è quella di Serena Terranova critica del gruppo Altrevelocità. Per lei la parola era Passaggio. Al confronto con l’immagine non voleva scrivere qualcosa di descrittivo, perchè nell’ immagine si nascondeva un fatto che la riguardava: la scrittura.

Per Fiorenza Menni, attrice del Teatrino Clandestino la parola era invece Training. Quel training che per lei è mezzo per convogliare espressività e coinvolgimento nel personaggio. Per Fiorenza lavorare sull’immagine ha significato la possibilità di aprire uno sguardo nuovo su se stessa, una possibilità di ritrovarsi a diversi livelli.
Inoltre sottolinea il valore dell’esperienza che Fanny & Alexander propongono per lo scambio di idee, il dialogo che si instaura fra le persone.

In effetti, a conclusione della presentazione, al giungere del crepuscolo, ci ritroviamo come ospiti in casa di amici che condividono con noi le loro più profonde ricerche con il principale intento, ci sembra, non di rappresentare, ma di crescere, condividere, approfondire, al di là degli schemi della sola necessità scenica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA