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27 marzo giornata internazionale del teatro

E forse a tutti è capitato, in una situazione ingarbugliata o dolorosa, o fastidiosa, di guardarsi da fuori e osservarsi come si fa con un attore che recita. Se non vi è accaduto mai, mi spiace

Scritto da Maria Rosa Pantè il 24.03.2014

Possiamo partire dalla parola “persona”, quante cose ci vengono in mente. Ecco, questa parola così pregna di significati in origine indicava la maschera, la maschera dell’attore.

Basterebbe questo per dire che tutta la vita è teatro, rappresentazione, che noi siamo qui a recitare, ognuno per come può, la sua parte. E forse a tutti è capitato, in una situazione ingarbugliata o dolorosa, o fastidiosa, di guardarsi da fuori e osservarsi come si fa con un attore che recita. Se non vi è accaduto mai, mi spiace. A me capita quasi sempre ed è una sensazione straniante molto importante perché relativizza tutto, tutto è meno serio, definitivo, drammatico di come sembra.

Maschera

Se però questa sensazione non v’è mai capitata, spero che almeno una volta nella vita siate andati a teatro e magari, chissà, vi è pure accaduto di recitare: una poesia, un testo nella recita della scuola, una parte non vostra.

Il teatro è dovunque nella nostra vita. Ogni civiltà, ogni paese, ogni popolo ha una sua forma di rappresentazione teatrale. Sono diverse, ma tutte hanno uno spettatore che coesiste con un attore. Il teatro è infatti questo miracolo: un fenomeno unico, irripetibile di compresenza fra pubblico e artista, attore. E’ irripetibile, e questo è il bello, non perché cambia il testo, o la regia, o l’umore di chi fa le luci e di chi suona, nemmeno perché l’attore ha mal di stomaco o mal d’amore, no! Cambia perché il pubblico è diverso.

Nella nostra tradizione il teatro è fenomeno che nasce dalle cerimonie religiose e poi diventa uno dei più importanti mezzi di formazione politica. Il teatro diventa un fatto di educazione ed equilibrio sociale e politico. Dall’Atene del V secolo, quella dei tre grandi tragici (Eschilo, Sofocle, Euripide) e del comico Aristofane, sino ai giorni nostri non è cambiato poi molto, l’efficacia asciutta e piena di poesia del teatro greco è, a mio avviso, insuperata e non dovrei dirlo dato che anch’io scrivo per il teatro. Eppure nemmeno Shakespeare, nemmeno Goldoni, nè tanto meno il logorroico ‘900 eguaglia le origini del teatro. Però, dato che le radici sono così forti e ben radicate, il teatro non muore, nemmeno la Chiesa (che lo contrastò a lungo, il viola porta sfortuna perché era il colore della Quaresima periodo in cui gli attori non potevano lavorare), nemmeno le dittature, nemmeno televisione e cinema, lo hanno colpito.

Io scrivo per il teatro e mi piace moltissimo, non è la stessa cosa che scrivere una poesia, la poesia è il sublime della parola, ma il teatro è terra e sangue e corpo, perché scrivi appunto per una voce, per un corpo, per qualcuno che dirà le parole, si muoverà, dovrà prendere il respiro e magari discutere con qualcun altro, magari altercare anche col pubblico… o con l’autore.

Per me, come autrice, il massimo è far ridere. Vi assicuro, e ho già avuto modo di dirlo in lungo e in largo, che sentir ridere qualcuno per qualcosa che si è scritto è emozionante, ancora più che far piangere. Perché la cosa straordinaria del teatro è proprio che fa piangere, fa ridere e nei casi più sublimi fa ridere e piangere insieme.

Ho scritto tutto questo per onorare una ricorrenza poco conosciuta: il 27 marzo è la giornata internazionale del teatro.

Per ricordarla ancora meglio vi chiedo di rispondere a questo mio piccolo sondaggio, che, indovinate? é un po’ scherzoso. Scrivete le vostre numerose risposte o qui di seguito o a campusnuvole@gmail.com. Dopo il 27 marzo (scadenza del sondaggio) vi farò sapere come è andata.

Ecco le tre domande:

1. Chi aspettava Godot? (Aspettando Godot, Beckett)

 

2. Diamo un nome di battesimo a Lady Macbeth (Macbeth, Shakespeare)

 

3. Chiamereste vostro figlio EDIPO? (Edipo re, Edipo a Colono, Sofocle)

se sì perché?

se no perché?

 

 

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