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Le api a rischio hanno la lingua lunga

Secondo una ricerca studiare la lunghezza della lingua delle api può aiutare a comprendere il comportamento e la capacità di resilienza

Scritto da Marta Gaia Sperandii il 18.07.2014

Nel meraviglioso mondo degli insetti impollinatori sono le dimensioni che contano.  Per le api, significative sono quelle della lingua, che permettendo la suzione del nettare ed il trasporto del polline, forniscono all’uomo una incredibile varietà di prodotti e garantiscono alle piante il successo della riproduzione e l’aumento della variabilità genetica.

Lo studio del ricercatore spagnolo Ignasi Bartomeus dimostra come studiare la lunghezza della lingua delle api possa aiutare a comprenderne il comportamento e la capacità di resilienza.

Augochlora pura

Augochlora pura. Photograph by Phillip Moore. Photo courtesy of the USGS Bee Inventory and Monitoring Lab

Alcuni impollinatori lavorano solo al servizio di una pianta, ed in questi casi sia le strutture del fiore che le dimensioni dell’apparato boccale sono il risultato di un incredibile rapporto coevolutivo sviluppatosi nel corso di centinaia, se non migliaia, di anni. E’ il caso di Xanthopan morgani praedicta, lepidottero notturno della famiglia degli sfingidi che grazie ad una spiritromba lunga poco meno di 30 cm è l’unico al mondo in grado di impollinare Angraecum sesquipedale, orchidea che cresce nella foresta pluviale. Non tutti però godono di un rapporto altrettanto specifico, e lo studio di Ignasi Bartomeus, ricercatore alla Doñana Biological Station di Siviglia, si concentra proprio sulle api considerate “generaliste”.

Quella che noi semplicisticamente chiamiamo “lingua”, è in realtà un organo complesso formato da strutture allungate e solcate, la cui unione determina la formazione di un canale salivare col quale l’ape scioglie l’eventuale materiale solido, a sua volta circondato da altre due strutture avvolgenti che formano il canale di suzione, mediante il quale l’insetto si nutre.

Si nutre, però, soltanto se arriva al nettare: condizione imprescindibile è quindi la compatibilità dimensionale di questa struttura con quella del fiore. Una lingua troppo corta, per intenderci, costringerà al digiuno un’ape che abbia scelto di posarsi sulla caprifoliacea Lonicera sempervirens. Una lingua molto lunga può risultare d’altro canto scomoda: questa è generalmente il risultato di processi coevolutivi, caratterizza rapporti molto spesso specifici, e costituisce pertanto un elemento di vulnerabilità di una specie. Lo dimostra Bombus dahlbomii, specie endemica della Patagonia caratterizzata da una lingua lunghissima, che ha enormemente sofferto, in termini demografici, l’importazione dell’europeo Bombus terrestris, utilizzato in Cile come impollinatore del pomodoro e risultato essere più competitivo per via della lingua corta.

Se alle dimensioni di questa struttura corrisponde una specificità del rapporto, e quindi una vulnerabilità della specie, facilmente identificabile con il rischio di estinzione, studiandone la lunghezza è possibile avere un’ idea di quali organismi avranno più problemi ad adattarsi alle potenziali conseguenze di un cambiamento del clima in termini di impatto sulla vegetazione.

Ma misurare la lingua di un’ape non è cosa semplice: se è vero infatti che è generalmente proporzionata alle dimensioni del corpo, è altrettanto condizionata dall’eredità genetica “familiare”.  Ignacio Bartomeus non si è però scoraggiato, ed assieme ad un team della statunitense Rudgers University  ha sviluppato un’equazione che tenendo conto di proporzioni corporee e relazioni tassonomiche è in grado di stimare la lunghezza della lingua.

Per chi desiderasse approfondire ed avesse in programma un viaggio intercontinentale, lo studio verrà presentato il mese prossimo in California in occasione del “99th Annual Meeting of the Ecological Society of America” ,che si terrà dal 10 al 15 Agosto presso il Sacramento Convention Center.

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