Il crescente fenomeno dell’avanzamento delle aree metropolitane a scapito di quelle verdi sta inevitabilmente impattando sugli ecosistemi naturali, in termini di omologazione e di perdita di paesaggio e di biodiversità. Questa affermazione sembrerebbe ovvia e scontata, date le numerose denunce provenienti da organizzazioni, governi, enti di ricerca mondiali e nazionali. In realtà così scontata non è affatto.
Secondo uno studio prodotto da alcuni ricercatori del Centro Nazionale per l’analisi ecologica e di sintesi (NCEAS) dell’Università della California, finanziato dalla National Science Foundation e pubblicato sulla rivista Proceedings B, le città concorrerebbero alla conservazione di moltissime specie native di animali e vegetali (si parla addirittura di centinaia di specie di uccelli e migliaia di specie di piante in una singola città) rappresentandone l’habitat “naturale”, dove abitare e prosperare.
Crediti: Laura Erickson
Partendo dall’esame di 147 città campione il team di ricercatori ha elaborato il più grande dataset globale contenente i dati di due diversi indicatori, gli uccelli (54 città) e le piante (110 città), considerando gli impatti di urbanizzazione sulla biodiversità a livello mondiale e non solo quelli locali. Dallo studio è emerso inoltre che mentre alcune specie siano in comune tra le diverse città (sono poche le specie di piante e uccelli cosmopolite), altre rappresentano un patrimonio unico per la loro posizione geografica. Gli spazi verdi urbani, stando allo studio, costituiscono quindi delle vere e proprie oasi nel deserto di cemento per le specie autoctone e per quelle migranti, un po’ come accade a Central Park nel cuore di New York.
“Mentre l’urbanizzazione ha provocato la perdita di un gran numero di piante e animali, la buona notizia è che le città conservano e preservano specie native endemiche, fatto che apre la porta a nuove politiche per la conservazione della biodiversità regionale e globale”, ha spiegato Myla FJ Aronson, principale autore dello studio e membro del gruppo di lavoro NCEAS, ricercatore presso il Dipartimento di Ecologia, Evoluzione e delle Risorse Naturali dell’Università del New Jersey.
Questo è avvalorato dal fatto che i risultati evidenziano come le città, offrendo più di un habitat naturale, possano accogliere molte specie vegetali e animali, tra cui quelle minacciate e in via di estinzione, favorendo una minore perdita nonostante le città continuino a crescere. È indubbio che complessivamente, rispetto a quanto accade in aree simili non edificate, le città supportino molte meno specie: si tratta di circa il 92% in meno per gli uccelli e il 75% in meno per le piante autoctone.
L’attuale densità, il numero di specie per km2, nelle città trova spiegazione in prevalenza in elementi antropici (impermeabilizzazioni dei suoli, età delle città), piuttosto che da fattori non antropici (geografia, clima, topografia).
“Il fenomeno dell’urbanizzazione crescente costa molto in termini di impatti sulla biodiversità – ha spiegato il coautore Frank La Sorte, ricercatore associato presso il Cornell Lab of Ornithology – pur avendo un numero ridotto di specie, infatti, le aree urbane conservano una particolarità e un’unicità locale, che deve essere tutelata e conservata”. Preservare gli spazi verdi, accrescere gli habitat e ridisegnare il concept dei nostri paesaggi urbani potrebbe creare le premesse affinché le città possano svolgere un ruolo considerevole nella salvaguardia delle specie autoctone: gli sforzi compiuti per conservare intatta la vegetazione nei paesaggi urbani potrebbero concorrere a sostenere anche concentrazioni più elevate sia di uccelli che di specie vegetali.