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Di cibo e di viaggi

Tra patate rosse e "castraure", dal Piemonte della Val Tanaro alla laguna meno nota: ecco un breve tour dei sapori e luoghi unici d'Italia

Scritto da Valeria Gatti il 10.12.2013

Cibarsi è un po’ come navigare. C’è chi naviga e quindi si ciba a vista, adeguandosi a ciò che trova lungo il cammino. E c’è invece chi fa del cibo una parte importante del proprio essere e della propria vita, una conoscenza da affinare, quindi naviga mantenendo una rotta ben precisa. E il cibo e il viaggio spesso si incontrano e nascono spunti di riflessione culinaria e di vagabondaggio unici, del tutto personali e densi di significato.

Tutto prende il via da una polentata tra amici. Dire polenta significa dire convivialità, allegria, buonumore. E anche semplicità. Ogni cibo ha anche il suo significato, il suo linguaggio. Ben lo sapevano le nostre nonne. Il merito di saper fare con cibi poveri pietanze gustose, poemi raffinati e che deliziano il palato è proprio tutto loro, in qualsiasi regione abbiano vissuto. Loro si sono fatte in quattro per inventare accostamenti, sapori, piatti con poco. ” Mia mamma sapeva tirare fuori cose buonissime anche con due sassi”, mi sono sentita dire. Sì, a loro ci si deve inchinare, prendendo esempio, raccogliendo spunti, ascoltando, misurando le dosi che spesso mettono tra gli ingredienti, apparentemente, a casaccio. Insomma, carpendo i segreti più reconditi dell’esperienza e della tradizione e conoscendo i prodotti più particolari della cucina italiana.

Così, come viaggiare, cucinare è conoscere. Indagando per la polentata di cui sopra, scopro che esistono vari tipi di polenta. Oltre alle classiche polenta bianca, polenta gialla e polenta taragna, vi è la polenta bianca di patate. Detta anche polenta saracena, la polenta bianca è un piatto tradizionale e povero tipico di Ormea, comune in provincia di Cuneo che si trova in Alta Val Tanaro, al confine tra il Piemonte e Liguria di ponente. Il piatto si prepara con le patate di Ormea e la farina di grano saraceno. La mia mente allora corre tra quelle valli, tra le Alpi cuneesi, in cui l’impiego del grano saraceno deve le sue origini proprio al passaggio dei saraceni nel X secolo. E scopro le balconate rurali della borgata di Airola, la frazione di Viozene, dove si parla il brigasco, un dialetto ligure di montagna, simile alla lingua occitana, e il parco naturale del Marguareis e le sue attrattive.

E Piemonte è anche formaggi. Penso al Montebore. Alla fiera del cioccolato di Tortona di qualche anno fa ho scoperto questo formaggio del tutto particolare, che ha la forma di una torre, e che ben si accosta a un piatto di tortelli alla zucca. Si tratta di una forma già famosa nel 1500, quella del Montebore, ricavata dalla sovrapposizione di tre formaggette in ordine di diametro decrescente, che ricorda una torta nuziale; probabilmente proprio questo suo aspetto permise al formaggio di essere nel menù delle nozze tra Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Sforza. E chi scopre il Montebore e l’omonimo paese, non può rimanere immune al fascino della Val Borbera e perdersi tra i suoi sentieri, la sua natura incontaminata e l’avifauna ricchissima, ma anche tra le sue antiche tradizioni fatte di danze (giga o piana), pifferi e pifferai.

Inevitabile. Mi accorgo che più i prodotti sono unici, più viene a rispecchiarvisi quell’unicità del territorio che spesso andiamo cercando. Lontani da consumismi di massa, traffico e code ai supermercati, quei prodotti, così come quei luogi, vanno trattati con rispetto, guardati con ammirazione, vissuti da non-turista. E mi torna alla mente il giro in laguna con un’amica trevigiana e la scoperta delle “castraure”, il primo germoglio del carciofo violetto tipico della zona. Si tratta dei gustosi carciofi di Sant’Erasmo. Da secoli ormai, in laguna di Venezia, in particolare a Sant’Erasmo, ma anche a Vignole, Lio Piccolo, Malamocco, Mazzorbo, si producono carciofi di grande qualità, frutto del lavoro e della tenacia di agricoltori, che a dispetto delle mode del mercato globale, riescono a conservare antichi sapori. Indimenticabile è stata la gita presso la sabbiosa piazzetta del Borgo di Lio Piccolo, con il campanile e la chiesetta rosa dedicata a S. Maria, mentre la marea si insinuava tra casoni isolati, intervallati qua e là da canali, zone di barena e valli da pesca.

E se di patate nella polenta si parla, si può parlare anche di patate rosse. Le patate rosse del Trentino. Oggi le maggiori aree di produzione sono rappresentate dalla zona del Lomaso e del Bleggio, anche se le patate vengono coltivate in tutto il territorio ad un’altitudine superiore ai 450 metri. Un paesaggio unico, tra terme, quelle di Comano, borghi e castelli. Lì a qualche chilometro di distanza, a San Lorenzo in Banale si puossono assaporare cotte con la buccia, insieme con la ciuiga, il prelibato salame alle rape.

Già un bel giro lo si è fatto. E tanto ci sarebbe da girare e da scoprire, tra territorio e prodotti. In questo tour tra il gastronomico e l’antropologico, siamo stati tra il Piemonte e la Liguria delle Val Tanaro e Val Borbera; il Trentino delle valli termali e dei piccoli borghi; il Veneto della laguna meno nota. Già, in Italia più che mai parlar di cibo è parlar di viaggi. Ma potremmo andare ovunque e scoprire sempre qualcosa di nuovo. Vagabondare con il palato e degustare con gli occhi, ascoltando pazientemente. Viaggiare lento, al di là delle mode, conoscere e parlare, assaggiare e percorrere per far vivere e rispettare quello che è la nostra terra e ciò che di fantastico ci può, ancora, dare.

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