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Dignità

Il tema della dignità è un tema difficile, la parola stessa è fluida

Scritto da Maria Rosa Pantè il 02.06.2014

Nell’ambito di un Festival sul tema della dignità, ho assistito a un incontro con Gabriella Caramore, saggista e soprattutto nota ideatrice e conduttrice della trasmissione di Radio3 “Uomini e profeti”.

Il tema della dignità, come ha più volte sottolineato la Caramore, è un tema difficile, la parola stessa è fluida. In greco dignità è axios, che indica qualcosa di indiscutibile, di assodato, secondo Aristotele una base certa da cui partire, da axios deriva il termine matematico assioma. Ma la stessa parola per i filosofi Stoici indica un’affermazione che può essere vera o falsa, insomma non data per sempre. Ed è vero che si può invocare la parola dignità sia ad esempio per dire che un malato terminale deve essere tenuto in vita in ogni modo per la sua dignità, sia per dire che la persona può scegliere per la sua dignità quando staccare la macchina.

Anders Breivik

Anders Breivik

Il punto è che in effetti la dignità è qualcosa che cresce, un processo, un divenire non uno stato certo e dato per sempre. Io riconosco dignità all’altro e questo reciprocamente rende dignità a me.

Sul tema ci sono due punti che vorrei sottolineare e ringrazio Gabriella Caramore che mi ci ha fatto pensare.
La Caramore ha giustamente rilevato che, quando si vuole opprimere qualcuno, prima di tutto lo si deumanizza, spesso lo si animalizza, gli si toglie l’umanità: se penso che il nemico non è umano, mi è più facile togliergli dignità e ammazzarlo. Per fortuna una delle conquiste dell’evoluzione è riconoscere dignità non solo all’uomo, ma a tutto ciò che è vivo: gli animali, le piante.

Secondo me, e lo dico da tempo, la dignità sta nel superamento dell’antropocentrismo.
Ma c’è un problema ancora più grave che ha anche suscitato un certo dibattito nella serata. Che dignità dare a chi non vuole sapere di rispettare l’altro, a chi uccide e non prova rimorso, pentitmento, cioè riconoscimento della dignità delle sue vittime? La Caramore citava Riina, citava Breivik, ve lo ricodate? È quell’uomo (gli lasciamo la dignità di uomo) che uccise in Norvegia 70 ragazzi e che non s’è mai pentito.
Come trattare una persona così? I Norvegesi hanno fatto la scelta giusta, non gli hanno tolto dignità, perchè togliendola a lui avrebbero compromesso la loro stessa dignità. Ma l’equilibrio è difficile.

Qual è la soglia della dignità, cosa vuol dire riconoscere dignità?
Io ci ho pensato, secondo me ha un posto rilevante anche la compassione, oltre alla giustizia naturalmente. La compassione riconosce la dignità dell’altro anche quando l’altro la rifiuta, anche quando l’altro risponde solo col disprezzo. Certo se è un assassino, se nuoce agli altri devo fermarlo, ma partendo dal presupposto che anche costui deve avere la sua dignità.

Qualcuno può dire che ha dignità in quanto creatura di Dio, qualcun altro può pensare che deve avere dignità proprio perché, se tolgo dignità a un altro essere la tolgo a tutti, in primo luogo a me stesso. Dunque secondo me alla fin fine il precetto primo è non umiliare l’altro, soprattutto non portarlo alla disperazione. La sventura di cui tanto parla Simone Weil è un tema scabroso, come un brutto male, di cui pochi hanno il coraggio di parlare e ben pochi di affrontare.

Si può far soffrire qualcun altro, talvolta la sofferenza è necessaria, ma mai si dovrebbe umiliarlo, mai indurlo a disperare di sè, del futuro, della vita. Se poi ci sono persone refrattarie anche a questo, sono da correggere, curare, infine da mettere in condizione di non nuocere, ma anche da compatire: l’infermo esiste ed è dentro di loro. Saranno perdonati, ma questo riguarda la misericordia di Dio, riguarda il mistero, nel nostro piccolo, sulla terra basterebbe questo: “ama il prossimo tuo perchè è te stesso”.

E il prossimo, giova ribadirlo, è l’animale, la pianta, l’uomo… la natura, la sua grande accogliente bellezza.

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