LONDRA– Andare a caccia di lombrichi scavando buche, raccogliere conchiglie sulla spiaggia, inciampare in una innocua biscia passeggiando sull’erba. Queste esperienze potrebbero diventare un lontano ricordo se non si adottano misure in grado di salvaguardare la sopravvivenza di queste specie. Il 19% delle specie di rettili sono a rischio di estinzione.
L’allarme viene lanciato in un articolo pubblicato il 14 febbraio sulla rivista Biological Conservation da un team di ricercatori della Società Zoologica di Londra (ZSL), in collaborazione con gli esperti dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN).
Si tratta del primo studio che fornisce una visione completa dei dati a disposizione sullo stato di conservazione dei rettili. Più di 200 esperti di fama mondiale hanno valutato il rischio di estinzione di oltre 1.500 rettili di specie diverse. Ecco i risultati: il 19% è a rischio di estinzione, il 12% è classificato come gravemente minacciato dall’estinzione, il 41% è in pericolo mentre il 47% è definito come vulnerabile.
Un destino comune agli invertebrati? Stando al rapporto del 31 agosto sempre emesso dalla ZSL un quinto degli invertebrati sarebbe a rischio di estinzione. E questo potrebbe essere solo l’inizio: a causa dell’inquinamento da fonti agricole e da metalli pesanti, gli squilibri nella grande catena dell’essere derivanti dalla “sparizione” di un intero gruppo di organismi potrebbero scatenare una reazione a catena e modificare le condizioni di vita delle altre specie.
Gli invertebrati svolgono numerose funzioni utili all’equilibrio dell’ecosistema: per fare qualche esempio, i lombrichi intervengono nel riciclo di alcuni residui, le api aiutano ad impollinare i raccolti, le barriere coralline intervengono a completare l’habitat di una miriade di forme di vita. Sono oltre 12.000 i tipi di invertebrati che la Lista Rossa dell’IUCN riporta.
I rettili sono comparsi sulla Terra circa 300 milioni di anni fa. Comprendono più di 9.000 specie di serpenti, sauri, anfisbene, tartarughe (terrestri e marine) e il tuatara, un rettile ancestrale endemico della Nuova Zelanda, tutti organismi che svolgono un ruolo determinante negli ecosistemi, sia come prede che come predatori.
Tre specie classificate in pericolo critico potrebbero essere già estinte. La lucertola Ameviva Vittata vivrebbe solo in una regione della Bolivia, mentre sei delle nove specie che popolano Haiti correrebbero seri pericoli di estinzione a causa dell’intensa deforestazione intrapresa dalle autorità del paese. I livelli di minaccia restano molto elevati specialmente per i cambiamenti causati dalle coltivazioni nelle regioni tropicali.
“I rettili possono essere molto importanti nella catena alimentare, sia come predatori che come prede”, ha dichiarato Monika Bohm, uno degli autori della ricerca. “Il rischio è che, perdendo un’importante risorsa, venga alterata in modo drammatico l’intera catena alimentare”. Per fortuna quello dei rettili è un gruppo naturale molto diversificato e il rischio non è uniformemente distribuito in tutte le specie. Ad esempio, le tartarughe d’acqua dolce sono particolarmente a rischio in quanto riflettono il rischio che la biodiversità corre proprio in questo tipo di acque.
Nel complesso, questo studio ha stimato che il 30% dei rettili d’acqua dolce è in via di estinzione, percentuale che sale al 50 se si considerano solo le tartarughe d’acqua dolce. Sovente associamo i rettili agli habitat estremi, a condizioni ambientali molto dure; in realtà esistono molte specie che si sono evolute e sopravvivono insieme al loro habitat, essendo molto specializzate e molto sensibili alle modifiche nell’ambiente che le circonda.
I rettili terrestri non se la passano meglio. La loro mobilità limitata e l’adattamento ad habitat non molto grandi li rende particolarmente vulnerabili alle pressioni antropiche. Ad Haiti, 6 delle nuove specie di lucertole Anolis sono già a rischio a causa della deforestazione.
Ben Collen, il direttore dell’Indicators and Assestment Unit della ZSL conclude che “è necessario rimediare sia alle lacune conoscitive che alle insufficienze delle misure di conservazione adottate fino ad oggi. Gli interventi devono essere efficaci e garantire a queste specie la sopravvivenza. I risultati di questo studio facilitano la comprensione del problema e accelerano possibili decisioni in merito alla posizione da dare ai rettili nella mappa della conservazione”.
Proteggere e conservare. Ci auguriamo che il problema non venga sottovalutato né passi sotto silenzio. La selezione naturale ce ne ha messo di tempo per dar vita ai primi organismi pluricellulari dai quali discendiamo. La vita è rimasta quasi esclusivamente unicellulare per i primi cinque sesti della sua storia: se si considera che i primi fossili risalgono a 3,5 miliardi di anni fa, mentre i primi animali pluricellulari risalgono a meno di 600 milioni di anni fa, il quadro è piuttosto chiaro.
È sensato pensare che la comparsa degli esseri umani fu la conseguenza contingente e fortuita di un numero enorme di eventi connessi. Uno qualunque avrebbe potuto svolgersi in maniera diversa, dirottando la storia su un altro percorso che, forse, non avrebbe condotto all’intelligenza che siamo abituati a conoscere.
Forse questi “intervalli” o “silenzi” nella strada verso la complessità e, dunque, verso l’Homo Sapiens, fanno pensare che il progresso non sia il tema principale della storia della vita. Che senso ha il progresso senza conservazione? Cosa ce ne facciamo della complessità biologica se disintegriamo la biodiversità?