Quando l’homo (e la foemina naturalmente) sapiens e urbanus – esisterà questo termine? – insomma quando la specie animale homo ritorna alle origini e finisce durante una vacanza in un biotopo, cioè un luogo pieno di vita (e non un topo vivente) assume strani, ma diffusi comportamenti.
Prima di tutto di solito è silente. Un po’ l’atmosfera del luogo, un po’ i cartelli ammonitori – unica presenza di una qualche civiltà addirittura fornita di scrittura-, un po’ la fatica del cammino, lo inducono al silenzio.
Talvolta tale afonia viene rotta da imprecazioni dirette alla massa di zanzare e tafani che solitamente nei biotopi proliferano e vivono felici. Qui più che schiacciare la zanzara si tende a schiaffeggiarla amichevolmente, dopo tutto si è in una zona protetta e naturale. Magari questo è l’ultimo esemplare di un’antica e rara zanzara.
Poi non si sa come tutti diventano osservatori.
Per assecondare questa latente e insana mania coloro che progettano i biotopi disseminano il terreno di torrette di avvistamento.
Le torrette di avvistamento attirano l’homo biotopicus (ormai potremmo definirlo così) come la luce attira le falene. L’homo non resiste e si affaccia da tutte le torrette in ognuna meravigliandosi che “da lì si vede tutto”. Tutto cosa? Difficile a dirsi perché l’homo intorrettatus (altro nome del biotopicus) si ferma nella torretta pochi secondi, in quanto atteso a terra dalla foemina sapiens che invece tende a non intorrettarsi mai. Verrebbe da fare una battuta sull’osservazione degli uccelli, ma non è questo il luogo.
I neobiotopici camminano intenti, cercano di carpire ogni segnale che indichi la presenza di una qualche specie protetta, o rara, o invisibile. E questa invisibilità è la grande caratteristica delle specie animali che ben si guardano dal farsi osservare. Ma lasciano tracce e l’homo biotopicus è lì pronto a interpretarle. Le bollicine nella pozzanghera non hanno segreti per lui. Il fruscio costante che lo segue è ormai cosa nota e l’urlo del rapace gli fa già immaginare il volo alto dell’aquila.
Che invece probabilmente lo osserva con la sua vista, d’aquila appunto, e di lui un po’ se la ride. Forse anche lei ci osserva da una torretta.
L’homo in questione, quando entra serio serio in un biotopo, diventa in breve tempo, nel tempo di un biotopo alla volta, un esperto botanico, un grande etologo, un vero naturalista, uno scienziato della natura completo di tutto.
Lentamente e faticosamene si avanza l’homo sapiens nel biotopo: qui tutto vive, si sente meglio anche lui, ma, quando la trasformazione in homo biotopicus è quasi completata, il rombo di un’auto rompe l’incantesimo. Il biotopo è finito, là c’è la strada, il ristorante, altra gente pronta ad affrontare il percorso naturalistico. Schiamazzano ancora, primitivi, ma tra poco calerà il silenzio anche fra loro.
Però, scherzi a parte, l’homo biotopicus mica ci dispiace, è un tipo di evoluzione che all’homo sapiens non può che fare bene. Anche le aquile sentitamente ringraziano.