Il progetto Life Arctos, progetto europeo per la conservazione di orso bruno in Italia è dedicato sia all’orso bruno marsicano nell’Appennino centrale che all’orso bruno che vive ora sulle Alpi, dopo una reintroduzione con individui provenienti dalla popolazione Slovena e con una popolazione che consta attualmente di ben oltre 50 orsi.
Abbiamo intervistato il dott. Antonio Tagliaferri, della Direzione Generale Sistemi Verdi e Paesaggio della Regione Lombardia, che coordina le attività regionali del progetto. Il dottore ci ha spiegato come procedono le attività di monitoraggio e gestione dei pascoli e quali sono i rischi sanitari per gli orsi nelle Alpi. Inoltre ha raccontato come procedono gli incontri divulgativi con gli allevatori.
Domanda: Dalla “Relazione tecnica sullo stato attuale della pratica zootecnica in Lombardia nelle aree di presenza dell’orso” è emerso che le aziende attive nell’ambito dell’allevamento abbiano subito un calo nel 2010. Come si colloca questo dato nel panorama della conservazione dell’orso?
Antonio Tagliaferri: L’idoneità territoriale rispetto alla presenza dell’orso, tenuto conto delle caratteristiche biologiche ed etologiche della specie, non può essere definita in relazione al numero di aziende agricole presenti in una determinata area. La disponibilità di habitat idonei per il plantigrado non è automaticamente limitata dalla presenza di attività antropiche in quota, quali gli alpeggi.
D: L’area di intervento su cui si andrà ad agire, per quanto riguarda la porzione alpina, è suddivisa in due sottoaree: una lombardo-trentina e una friulana. Dai dati in possesso – anche relativi alla minore presenza di allevamenti riscontrata – è possibile estrapolare qualche considerazione su una possibile riunificazione delle due sottoaree, attraverso, ad esempio, la costituzione di corridoi ecologici?
AT: Allo stato delle conoscenze attuale la riunificazione dei due nuclei – uno nelle Alpi centrali e l’altro nelle Alpi orientali – non è impedita dalla mancanza di corridoi ecologici, ma da elementi insiti nella struttura e nelle dinamica delle due popolazioni. L’individuazione delle due sottoaree, su cui si stanno concentrando le azioni previste dal progetto, tiene conto di questo dato e del fatto che al progetto non partecipano nè la Regione Veneto né la Provincia di Bolzano, nonostante – come testimoniato dagli indici di presenza rilevati -, l’orso stia già utilizzando sia il territorio veneto che quello altoatesino.
D:Dalle tavole presentate risulta che la presenza degli allevamenti è ancora consistente sul territorio. Il maggior rischio di vulnerabilità pare riguardare gli apiari, sia perché sono la tipologia più diffusa per Km2, sia perché si presentano in aree isolate e privi di custodia. Un analogo rischio è presente per ovicaprini e bovini da carne in alpeggio. Quali strategie si pensa di attuare in questi casi?
AT: Le recinzioni elettrificate appaiono la soluzione ottimale per la protezione degli apiari e lo sarebbero anche per il bestiame, se non ci fossero spesso impedimenti legati all’orografia del territorio d’alpeggio e all’onerosità della gestione dei recinti. Si sta verificando direttamente con gli allevatori la possibilità di potenziare la presenza della figura del pastore.
D:Nella sintesi non sono stati compresi i piccoli allevamenti a carattere privato e non professionale: non si corre il rischio di sottostimare l’entità delle interazioni tra allevatori ed orsi? Ad esempio, nel caso di avvicinamento di orsi alle abitazioni.
AT:L’analisi aveva l’obiettivo, oltre alla verifica della situazione attuale del comparto degli allevamenti montani, la valutazione dell’impatto economico della presenza dell’orso rispetto a tale comparto. Gli allevamenti a carattere amatoriale e non professionale sono costituiti, in genere, da poche unità di animali e non sono destinati alla produzione di reddito, pertanto non sono utili ai fini di una valutazione economica. In un’ottica di strategie di conservazione per l’orso, tuttavia, tali tipologie di allevamento, vengono considerate: non tanto per le strategie di difesa da adottare, quanto per l’importanza sociale che rivestono.
D:Sono state promosse iniziative didattiche nei confronti delle popolazioni locali? Se sì, quali sono state le prime reazioni?
AT: Nel progetto sono previste azioni specifiche di comunicazione rivolte ai diversi stakeholders, alcune già esplicate, come gli incontri con le popolazioni dei territori coinvolti, i momenti di divulgazione in aree più urbane e le iniziative dedicate agli insegnanti delle scuole dei territori montani. Le reazioni sono state diverse: paura e preoccupazione per il ritorno dell’orso in zone dove non era presente da più di un secolo, ma anche curiosità e volontà di “accogliere” questo “visitatore”.
D:Visti i recenti sviluppi della questione M13, risoltisi sfavorevolmente per l’orso in questione, ci sarà una parte del progetto dedicata alla gestione transfrontaliera, al fine di coordinare gli sforzi dei paesi coinvolti nella conservazione della specie?
AT: Sì, l’ACTION E.8, un’azione di networking con progetti e realtà internazionali. Lo scambio di esperienze e di buone pratiche appare un passaggio obbligato per garantire il successo di determinate operazioni, soprattutto tra Enti che insistono su aree confinanti. Per la zona delle Alpi, è vitale uno scambio di esperienze con gli altri paesi alpini interessati dalla presenza stabile o sporadica dell’orso (Austria, Slovenia, Svizzera). A tal proposito è stata ipotizzata l’organizzazione di almeno 3 incontri nell’arco dei quattro anni di progetto.
D:Un altro problema che riguarda la gestione ursina è la questione sanitaria: il controllo effettuato nell’area di interesse ha evidenziato un lieve aumento (come si evince dai grafici) di alcune malattie, tra cui la brucellosi, la TBC e la pseudorabbia a partire dal biennio 2008/2009; mentre risulta che sia la febbre Q che la leptospirosi – potenzialmente dannose per l’orso -, sono presenti sul territorio. Sono previste delle azioni mirate a debellare queste patologie o i numeri sono ancora troppo bassi per pensare ad un intervento?
DT: E’ stato verificato che i protocolli dei trattamenti sanitari già in uso per il bestiame in alpeggio possono garantire la tutela della salute dell’orso. L’ambiente che ospita l’orso non può e non deve essere reso asettico, la presenza degli agenti patogeni che provocano le malattie citate non comporta di per sé il manifestarsi della malattia. Si ritiene che i monitoraggi effettuati nella normale attività dei servizi veterinari consentano di tenere sotto controllo le potenziali minacce rilevate.
D: Il progetto prevede per la parte A1 dell’Action 1 lo sviluppo di indirizzi di gestione per la convivenza con i predatori: ne sono già stati sviluppati alcuni? Chi se ne sta occupando?
DT: Non sono ancora stati sviluppati indirizzi di gestione, ma possibili strategie gestionali che verranno valutate e verificate all’interno dell’azione C1. Nell’attuazione dell’azione sono coinvolti i soggetti interessati alla gestione degli alpeggi a tutti i livelli (Regione, Enti locali, Associazioni di categoria).
G: L’Action 1 racchiude la fase di raccolta dati. Le azioni finora intraprese a quali conclusioni hanno portato? Il territorio lombardo si ritiene adatto alla presenza stabile dell’orso?
DT: Dal punto di vista della compatibilità della presenza ursina con i fini agricoli – come già scritto nella relazione prodotta -, sarebbe un’utopia pensare di riuscire a modificare le strategie globali di gestione delle risorse rurali per renderle efficaci nella conservazione dei grandi carnivori. Al contrario, sembra più verosimile ricavare uno spazio all’interno delle misure di intervento in agricoltura per favorire gli allevatori che si trovano ad operare in zone dove è presente l’orso.
D: Il prossimo passo è la fase C1 “Implementazione dei protocolli e buone pratiche relative alla gestione della zootecnia compatibile con la presenza dell’orso”: quali saranno le prossime azioni in programma?
DT: Sono state individuate alcune aziende agricole che, per localizzazione geografica, tipologia di capi allevati e forma di conduzione, risultano rappresentative della situazione degli allevamenti nelle aree di presenza del plantigrado. Ottenuta la collaborazione dei titolari, si vorrebbe procedere con la sperimentazione di tecniche di protezione e di gestione del bestiame che consentano anche una valutazione economica dei costi derivanti dall’uso dei diversi sistemi di difesa/gestione. Attraverso tali valutazioni, sarà possibile formulare misure di compensazione, incentivo e risarcimento per le aziende coinvolte. Oltre ciò, si prevede di organizzare interventi specifici di formazione destinati agli alpeggiatori e di favorire lo scambio di esperienze con imprenditori agricoli che operano in territori di presenza stabile dell’orso.