Abbiamo sentito parlare spesso di “foglie artificiali”. Si tratta di usare nanosistemi per riprodurre sinteticamente la fotosintesi clorofiliana: l’obiettivo è combattere l’aumento di anidride carbonica presente nell’atmosfera che a sua volta genere l’effetto serra. I ricercatori dell’Università di Berkeley sembrano avere recepito l’allarme lanciato con il record di anidride carbonica recentemente raggiunto e si spingono ben al di là della foglia, cominciando a ipotizzare la costruzione di “foreste artificiali”.
“Similmente ai cloroplasti che svolgono la fotosintesi nelle piante verdi, il nostro sistema fotosintetico artificiale è composto da due semiconduttori che assorbono luce, uno strato interfacciale per il trasporto della carica, e co-catalizzatori spazialmente separati”, spiega Peidong Yang, chimico dei materiali del Dipartimento di Scienze del Berkeley Lab, che ha condotto questa ricerca. “Per facilitare la scissione solare dell’acqua nel nostro sistema, abbiamo sintetizzato eterostrutture in nanofili simili agli alberi, costituiti da tronchi e rami di silicio e ossido di titanio. Visivamente le matrici di queste nanostrutture assomigliano molto a una foresta artificiale.”
La ricerca è pubblicata su Nano Letters.
Le tecnologie solari sono la soluzione ideale per l’energia rinnovabile a zero emissioni – infatti c’è abbastanza energia nella luce solare che raggiunge la Terra in un’ora per soddisfare tutti i bisogni umani per un anno. La fotosintesi artificiale, in cui l’energia solare viene direttamente convertita in combustibili chimici, è considerata una delle più promettenti tecnologie solari. Una sfida importante per la fotosintesi artificiale è di produrre idrogenoabbastanza a buon mercato per competere con i combustibili fossili. Vincere questa sfida richiede un sistema integrato in grado di assorbire la luce solare in modo efficiente e e permettere la riduzione dell’acqua in ossigeno e idrogeno attraverso quelle che in chimica si chiamano semireazioni di ossidazione.
“Nella fotosintesi naturale l’energia della luce solare assorbita dalle foglie produce una tensione elettrica che permette l’innesco di reazioni chimiche in regioni distinte del cloroplasto”, dice Yang. “Abbiamo creato la nostra eterostruttura a nanofili per imitare i
Quando la luce solare viene assorbita dalle molecole di pigmento in un cloroplasto, si genera un elettrone eccitato che si muove da molecola a molecola attraverso una catena di trasporto fino a convertire anidride carbonica in carboidrati. Questa catena di trasporto degli elettroni è chiamato “schema Z” perché il modello di movimento assomiglia alla lettera Z su un fianco. Yang e i suoi colleghi hanno utilizzato proprio uno schema Z nel loro sistema che usa due elementi abbondanti in natura e stabili – i semiconduttori
Sotto la luce solare simulata, questo sistema integrato di nanofili per la fotosintesi artificiale ha raggiunto uno 0,12 per cento di efficienza di conversione dal combustibile solare. Questo tasso dovrà essere migliorato per l’uso commerciale. Tuttavia, il design modulare di questo sistema permette che singoli componenti di recente scoperta possano essere facilmente incorporati per migliorarne le prestazioni.
“Abbiamo alcune buone idee per sviluppare fotoanodi stabili con prestazioni migliori”, dice Yang. “Siamo sicuri che saremo in grado di sostituire gli anodi di ossido titanio in un prossimo futuro per migliorare l’efficienza di conversione dell’energia.”
Con preghiera di recensione.
La semina diretta aiuta a
immobilizzala l’CO2 nel suolo.
Breve storia dell’aratro.
L’agricoltura è nata tanto tempo fa. Forse 10.000 anni. Per prima cosa l’uomo riuscì a domesticare animali selvaggi e questo aiutò a renderlo sedentario. L’uomo, più o meno sedentario, iniziò ad osservare il ciclo delle piante, la loro crescita, la formazione dei fiori e dei semi, la risemina ed il nascere delle nuove piante, ed un uomo di genio se la ingegnò per raccogliere semi e nasconderli nel suolo ed aspettare la formazione di nuove foglie, semi e tuberi che in tal modo poteva ottenere nella quantità a lui necessaria e che poteva inoltre conservare per il resto dell’anno. Era nata la prima era dell’agricoltura.
Poi, un bel giorno, un altro genio immaginò di usare un residuo del tronco di un albero per aprire un solco e, per lavorare meno, fece trainare il tronco da uno dei suoi animali domestici o quasi. Era nato l’aratro di legno, che poi fu modificato in mille modi, col passare dei secoli.
Nell’età del bronzo si fecero aratri di metallo, che duravano più tempo ed erano qualcosa di simile a ganci che raschiavano la superficie della terra e, sempre col passare dei secoli, si unirono altre parti di legno, poi di metallo che rovesciavano il pane di terra, eliminando in tal modo le erbe spontanee dannose al raccolto. Passarono millenni e nel 1600-1700 DC gli aratri erano già quasi tutti di metallo e per di più potevano essere trainati da macchine a vapore e poi da trattori simili ai nostri moderni. Era la seconda era dell’agricoltura.
Poi, nei due secoli seguenti, l’agricoltura si sviluppò in maniera impensabile. Forse dobbiamo al genio di Mendel e di Pasteur, alle nuove specie vegetali venute dall’America, l’essere riusciti a rendere bugiarde le ipotesi di Malthus che promettevano fame, dovuta alle crescita in maniera geometrica della popolazione umana.
Oggi abbiamo l’ingegneria genetica e, presto, potremo fabbricare in laboratorio piante, o meglio organismi capaci di produrre gli alimenti a noi necessari, con le qualità che riterremo più opportune.
E l’aratro accompagnò sempre la crescita delle civilizzazioni. All’inizio realizzava un graffio sulla superficie del suolo, appena sufficiente a ricevere i semi. Poi l’uomo costruì aratri che lavoravano sempre a maggiore profondità, sino ad ottenere il taglio di una zolla sufficientemente profonda per essere rovesciata e seppellire così la vegetazione spontanea. Poi si volle ottenere una profondità di lavoro sempre maggiore per modificare la struttura naturale del suolo ed ottenere la penetrazione e conservazione delle piogge in profondità ed esporre all’aria, all’ossigeno e al calore dell’estate le zolle ed ottenere la loro disgregazione e la solubilizzazione delle sostanze nutritive. E In tal modo aumentava l’erosione del suolo e si andava verso la desertificazione e desertizzazione di sempre maggiori superfici.
Quanto accadde nella prima metà del ‘900, in America del Nord, generò un allarme mondiale e maggiore interesse per l’erosione eolica e finalmente si cominciò ad intendere che forse era meglio non modificare la naturale struttura del suolo e che le piogge potevano essere conservate in profondità mantenendo la superficie coperta con residui vegetali .
E si parlò di riduzione delle rimozioni del suolo con un minimo di lavori, e si usarono aratri di nuove forme, aratri a disco, erpici ed altri attrezzi, sempre con l’idea che il suolo doveva essere rimosso dall’uomo per fare infiltrare l’acqua della pioggia ed aumentare la fertilità.
Ma alcune semplici esperienze e l’uso di erbicidi per controllare la vegetazione spontanea, dimostrarono quanto fossero sbagliate quelle idee che dominarono per millenni l’agricoltura. La migliore struttura del suolo è la naturale, che permette, inoltre, la facile penetrazione delle radici. La migliore infiltrazione e conservazione dall’acqua di pioggia si ottiene lasciando in superficie i residui delle coltivazioni, come avviene nei boschi.
E nacque la semina diretta o labranza cero o no tillage o sod seeding che, con la fitotecnica, l’ingegneria genetica e la fitochimica domina l’attuale agricoltura.
E l’aratro fu abbandonato, arrugginito ed ormai inutile, in un angolo del campo.
Marcelo Fagioli.
mafagi@cpenet.com.ar
Anales Academia de Agronomia Argentina: 57:98 – 105. 2003
SENIGAGLIESI, Carlos A. Desarrollo de la siembra directa en la Argentina. 57:98-105. 2003
DESARROLLO DE LA SIEMBRA DIRECTA EN ARGENTINA
Ing. Agr. CARLOS SENIGAGLIESI
En primer lugar, deseo agradecer a las autoridades de la Cámara Arbitral de la Bolsa de Cereales por haber instituido este premio y muy especialmente, a los miembros del Jurado por habérmelo otorgado. Quiero hacer extensivo el reconocimiento por este premio al INTA, donde me inicié profesionalmente y donde trabajé toda la vida. Lo poco o mucho que pude hacer, se lo debe a su organización, que facilitó mi formación y capacitación y me dio todas las posibilidades para trabajar y a la participación y colaboración de una gran cantidad de personas, colegas y colaboradores con los que trabajamos juntos. Sin ellos, nada hubiera sido posible.
Por otra parte, lo realizado en agricultura conservacionista y siembra directa no es el trabajo de una persona, sino el producto del esfuerzo de mucha gente que durante mucho tiempo y en forma silenciosa fueron aportando resultados que a lo largo del tiempo posibilitó la difusión exitosa de esta tecnología en el país.
Fue en 1968 cuando tuve contacto por primera vez con la Siembra Directa, que por supuesto en aquellos años no se la llamaba de esa manera. En la EEA de Pergamino, trabajaba el Dr. Marcelo Fagioli, oriundo de Italia. Estudiaba el sistema radicular del maíz, en particular, el efecto de las labranzas(superficial y profunda) sobre el crecimiento de las raíces. Como buen investigador, quería para contrastar con las parcelas aradas un testigo absoluto, sin arar, para lo cual controlaba las malezas con atrazina y 2,4 D, y sembraba el maíz con un palo puntiagudo, como lo hacían los Aztecas y los Incas. Por varios años venía encontrando que las raíces crecían casi igual y los rendimientos no eran muy diferente entre arar o sembrar directamente sin arar, controlando malezas.
La anécdota es que cuando llegué a la EEA para incorporarme a trabajar, me organizaron una recorrida para que conociera a los distintos equipos de trabajo y me advirtieron que cuando estuviese con el Dr. Fagioli, no tomara muy en cuenta sus comentarios sobre esos resultados. No podía ser que se contradijera de esa manera el paradigma básico de la agricultura, esto era que para hacer crecer un cultivo había que arar el suelo y sobre todo en maíz, donde la primer recomendación pasaba por “preparar una cama de siembra profunda y bien mullida”. Decían que algo equivocado debía haber en el procedimiento experimental del Dr. Fagioli . Pero ciertamente que sus investigaciones eran validas y contemporáneas de las primeras que se estaban realizando en USA. Si se le hubiera prestado la debida atención hubiéramos ganado mucho tiempo en el desarrollo y difusión de la Siembra Directa…..
RITORNO ALLA PREISTORIA.
NASCITA DELLA “SEMINA DIRETTA”
L’uomo divenne agricoltore quando imparò a fare piccoli buchi nel terreno ed
a riporvi i semi. Poi qualcuno costruì una specie di aratro capace di aprire un
piccolo solco superficiale. Poi furono inventati gli aratri veri, prima di legno,
poi d’acciaio.
E Newton e Leibniz insegnarono a calcolare le forze ed i movimenti delle zolle
che si rovesciano su se stesse, coprendo di terra la vegetazione spontanea.
Aumentò così, enormemente, la produzione agricola ma aumentò anche l’erosione
del suolo.
Nel 1964, io stavo già lavorando in una Stazione Sperimentale Agricola, in
Argentina ed avevo disegnato alcuni esperimenti per approfondire la conoscenza
della dinamica dell’acqua nel suolo. Il disegno sperimentale comprendeva
anche parcelle con colture seminate su terreno arato e non arato. Secondo
quanto previsto le piante coltivate avrebbero dovuto crescere bene, nelle
parcelle arate e male, in quelle non arate. Ricordo ancora la mattina quando
l’incaricato del campo, con una faccia molto preoccupata, si precipitò nel mio
ufficio e mi chiese:
– “Dottore, come faccio io a seminare in un suolo non arato?” – Lo rassicurai
spiegandogli lo scopo e la maniera di procedere e dicendogli che avremmo controllato
la crescita della vegetazione spontanea mediante l’uso di prodotti chimici.
Le cose andarono, all’inizio, come avevamo previsto. Le piantine nacquero
stentatamente nelle parcelle non arate. Lo sviluppo della vegetazione
migliorava sensibilmente man mano che aumentava la profondità della rimozione
del suolo.
Alcuni professionisti, dipendenti di grandi società dedicate all’agricoltura, si
mostrarono interessati a questa ricerca. Venivano a visitarmi di quando in
quando ed io li guidavo sino al campo sperimentale. Non portavo con me il
disegno dello stesso perché i trattamenti si potevano intuire dalla differenza in
altezza della vegetazione. Ma un giorno, dopo qualche tempo dalla semina, una
volta arrivato con alcuni ospiti al campo sperimentale, non fui più in grado di
distinguere le parcelle con e senza rimozione del terreno. Rimanemmo tutti
molto meravigliati. Ancor più io lo fui, quando ottenni i rendimenti in grano
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corrispondenti ai diversi trattamenti. Non c’erano differenze apprezzabili tra
il rendimento delle parcelle arate e non arate. Meglio non riportare i commenti
del personale della Stazione Sperimentale. Il più benevolo era quello che mi
consigliava d’andare in manicomio, se credevo davvero di poter seminare in
quella maniera i campi della zona.
L’esperimento fu ripetuto negli anni seguenti, ma era molto difficile far accettare
la filosofia di “questa nuova” e “preistorica”, tecnica colturale. É naturale…
dopo i millenni nei quali era stato usato l’aratro!
Ora la semina su terreno non arato è molto diffusa nella “Pampa” e, per quanto
ne so, anche in Africa e in altre parti del mondo.
Si chiama “siembra directa”, “no till”, “no tillage”, “labranza cero”.
Aiuta molto a risolvere il problema della conservazione del suolo, specialmente
nei paesi nei quali è rimasto qualcosa da conservare.
Non ha avuto molta diffusione in zone dell’Asia e dell’Europa, dove l’uso millenario
dell’aratro ha causato già tutta l’erosione che era possibile provocare.
Ora si parla molto di desertificazione ed erosione. Ma non bisogna dimenticare
che, quando gli spartani difendevano le Termopili, la larghezza del passaggio
occupato da quei trecento eroi, non era molto grande. Ora, tra un lato e
l’altro del valico delle Termopili, ci sono chilometri.
Questa è l’erosione.
Preso da: Ricordi di un emigrato dei nostri tempi” Marcello Fagioli (Vedi Google)