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Specie alloctone: è giusto parlare di ecocidio?

Scritto da Marta Gaia Sperandii il 31.10.2013

Se la terra potesse parlare, denuncerebbe probabilmente molti degli abusi subiti negli ultimi secoli. In quest’ottica lavora dal 2012 un gruppo di cittadini europei che sostiene l’emanazione di una direttiva comunitaria in materia di ecocidio.

L’iniziativa prende il nome di End Ecocide, e si configura a livello giuridico come Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE). Grazie a questo strumento è possibile proporre un emendamento alla legislazione dell’UE: se l’iniziativa raccoglie in un anno un milione di firme in almeno 7 paesi membri, viene esaminata dalla Commissione Europea assieme agli organizzatori. Il vantaggio rispetto ad una semplice petizione risiede nel fatto che la Commissione Europea è tenuta a dare risposta formale e motivata ad una ICE.

End ecocide 

Affinchè si possa parlare di ecocidio, secondo End Ecocide, è necessario un danno ingente, o lungamente perpetrato a scapito dell’ambiente, che comporti la distruzione o la perdita di uno o più ecosistemi sul territorio. Se una normativa in materia fosse emanata a livello europeo, gli stati membri sarebbero tenuti a ripristinare l’ecosistema allo stato precedente.

Tra i potenziali casi di ecocidio cui fa riferimento l’iniziativa compaiono singoli progetti come quello di estrazione delle sabbie bituminose ad Alberta, ma anche metodologie invasive per il rinvenimento di idrocarburi, come la fratturazione idraulica (fracking), o l’utilizzo di pesticidi quali la clotianidina, i cui effetti letali sulle api hanno causato un vasto spopolamento degli alveari.

Una definizione come quella proposta da End Ecocide rende tuttavia decisamente ampio il campo di applicazione. Uno di questi potrebbe essere rappresentato dalle specie alloctone. Si pensi al nordamericano scoiattolo grigio, che introdotto in Piemonte negli anni ’60 sta letteralmente soppiantando il nostro scoiattolo rosso, o allo xenopo liscio in Sicilia, una rana originaria dell’Africa australe introdotta nel nostro paese probabilmente da allevatori, le cui abitudini alimentati mettono a rischio la sopravvivenza di molte specie endemiche, tra cui discoglosso dipinto, raganella italiana e rana verde.

Foto: Dan Foy

Foto: Dan Foy

Il dott. Sandro Bertolino dell’Università di Torino ci ha spiegato che senza dubbio l’introduzione, prevalentemente operata dall’uomo in maniera più o meno consapevole, di specie esotiche in ambienti a loro estranei, è in grado di sconvolgere l’equilibrio di interi ecosistemi ed è oggi considerata come la seconda causa di estinzione, subito dopo la distruzione degli habitat. 

Nel caso delle specie alloctone si può parlare di ecocidio? Ma soprattutto, sarebbe giusto un ripristino della situazione ex ante, ammettendo che ciò sia possibile? La questione è spinosa e vede dialogare i pareri degli scienziati, che guardano alla biodiversità, all’integrità e all’equilibrio degli ecosistemi come dei beni da preservare, con i pareri degli animalisti, che mettono al primo posto il diritto all’esistenza degli animali, di cui gli esseri umani sono direttamente responsabili.

Lucia Jane Beltrame, coordinatrice italiana di End Ecocide, sostiene che il concetto di ecocidio possa essere applicato all’introduzione di specie alloctone, qualora si verifichino “danni estesi, distruzione o perdita di ecosistemi che siano duraturi o severi”.

Xenopus laevis, Berliner Tiergarten, Ben Rschr

Xenopus laevis,
Berliner Tiergarten, Ben Rschr

Parere difforme arriva però dalla LAV. Massimo Vitturi, responsabile del settore caccia e fauna selvatica, sottolinea come questi fenomeni, perlopiù ascrivibili all’azione dell’uomo, con un eventuale ripristino provocano conseguenze sempre e comunque sugli animali. Il dott. Vitturi cita il noto caso della nutria, introdotta in Italia nel secolo scorso ed allevata per via della sua pelliccia. Con la crisi del mercato della pellicceria, molti allevatori risolsero il problema rilasciando in natura i roditori, che provocarono ingenti danni alla vegetazione ed estinzione locale di fauna selvatica. Per tentare di contenere la diffusione degli animali si procedette all’abbattimento, tuttora in corso tramite piani di contenimento, di decine di migliaia di capi senza peraltro risolvere completamente il problema.  

Secondo il dott. Enrico Merli, ricercatore presso il Dipartimento di biologia animale dell’Università di Pavia e membro dell’Associazione Teriologica Italiana, che in questa settimana porta avanti il V Festival di M’ammalia, la settimana dedicata ai mammiferi,  per parlare di ecocidio è necessario valutare con attenzione gli impatti provocati da una specie, che si manifestano con tempistiche estremamente variabili, o in alcuni casi non si riscontrano affatto: è il caso dell’istrice, introdotto dal Nordafrica probabilmente in epoca romana e presente ad oggi nella nostra penisola in maniera decisamente innocua. Analogamente, prosegue Merli, occorre ricordare che “le probabilità che una specie alloctona si stabilisca con successo in un determinato ambiente, generando un impatto sensibile, aumentano quanto più l’ambiente è già perturbato. L’impatto che talvolta viene attribuito all’organismo esotico in molti casi andrebbe ripartito anche con la causa delle modificazioni ambientali precedenti o contemporanee all’arrivo dello stesso.

Tuttavia, attenendoci ai casi in cui una specie alloctona causi effettivamente danni ingenti ed estesi, Merli reputa corretta l’ipotesi di un ripristino della situazione antecedente l’arrivo dell’organismo esotico. Sempre secondo il ricercatore, “una specie animale artificialmente immessa in un ambiente, escludendo il caso di un’operazione fatta a fini conservazionistici (la conservazione ex-situ), rappresenta un inquinamento ambientale non giustificato e come tale da rimuovere, se possibile, sempre in funzione della gravità della minaccia stessa. 

In ogni caso, come sottolineato dal dott. Bertolino, “una strategia efficace di contrasto al fenomeno delle introduzioni deve basarsi prima di tutto sulla prevenzione, individuando e monitorando attentamente le vie di ingresso di queste specie ed attuando interventi che contrastino il fenomeno, come il decreto ministeriale che ha recentemente vietato il commercio di tre specie di scoiattoli esotici.”

La consapevolezza dei delicati equilibri su cui si basa un ecosistema rende ardua qualunque impresa di ripristino, ponendo spesso delle questioni anche etiche. Si fa pertanto sentire la necessità di un quadro di strumenti conoscitivo e normativo, che individui delle responsabilità e stabilisca precise modalità ed azioni di restauro.

Nella fiduciosa attesa che si svolgano un giorno i processi giuridici cui il nostro pianeta parteciperà come “parte lesa”, meritano quindi attenzione campagne come quella guidata da Polly Higgins, avvocato inglese che ha proposto all’ONU di introdurre l’ecocidio nella lista dei crimini contro la pace, ed iniziative come End Ecocide. Per quest’ultima, è possibile firmare online all’indirizzo http://www.endecocide.eu

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