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Biglietti dall’Alzheimer

Scritto da Maria Rosa Pantè il 07.02.2011

AnzianoNel bell’articolo di Federica Di Leonardo sul Genoma Umano e l’Alzheimer si dicono cose molto interessanti sulle ricerche in merito a questa orrenda malattia. La mappatura di profili genici più soggetti al morbo infatti è certo un passo importante per capire i meccanismi dell’Alzheimer in modo più certo e, si spera, per trovare una cura o un modo per rallentare e addirittura prevenire la malattia.

In tutto questo sperava mia madre quando mio papà era già da un pezzo malato di Alzheimer, mia madre non voleva sapere nulla sulla malattia, lei sperava in una pillola miracolosa. Chissà che queste ricerche non arrivino a tanto, anche se per mio padre è troppo tardi e anche mia madre ormai non c’è più.

Resto io invece, figlia di un malato di Alzheimer, col timore di poter contrarre la malattia.

Io ho letto tutto quel che potevo sul morbo perché sono fatta così. Mentre leggevo scoppiavo a piangere perché mi immaginavo il futuro e quello che sarebbe potuto accadere: mio padre diventato un vegetale, immemore di sé e di noi, perduto in un mondo irraggiungibile. Invece a noi e a mio padre le ultime e terribili fasi sono state risparmiate, il mio papà infatti se n’è andato riconoscendoci ancora tutti, prima che la malattia lo divorasse. Mio padre che all’inizio mi scriveva “Scusa se scrivo male, ma la mia malattia mi corre dietro” ha vinto in parte la sua gara e ha preceduto la malattia, ma l’unica salvezza dall’Alzheimer oggi come oggi è la morte.

Mio padre mi ha lasciato un po’ di biglietti, scritti il primo anno in cui gli fu diagnosticato l’Alzheimer. Scriveva e soprattutto firmava, firmava come a volersi tenere stretta la sua identità: firme sempre più sghembe, grandi, come dei quadri cubisti.

Mi scriveva bigliettini pieni di affetto, di amore paterno, di amore anche per mia mamma, perché è importante ricordare che il malato d’Alzheimer non perde mai l’emotività, la vita dei sentimenti, anzi, avendo meno filtri, sente tutto con maggiore intensità. Oltre a questo mi ha scritto alcune frasi che illuminano lo stato di un malato di Alzheimer, che sa di esserlo (lo dissi io a mio padre sia pure minimizzando i contorni della malattia) e che però perde a mano a mano gli strumenti cognitivi per capire e ricordare cosa gli stia accadendo. Anche se l’oblio talvolta è, ve lo assicuro, una benedizione.

Credo di poter riportare qui alcune frasi di mio papà perché spero possano servire ad altri, a figli i cui genitori sono malati e non possono più esprimersi o chiunque sia vicino a un malato.

“Il giorno 9 dicembre ho la testa che non vuole saperne di ragionare, perché non ricordo cosa faccio e quindi mi ritrovo in mezzo a una solitudine”.

“(…) oggi è una giornata nera infatti io e la mamma non sappiamo cosa fare, principalmente io (…), infatti cerco solo che tu ti ricordi quello che si fa per ammazzare il tempo”.

“Io e la mamma ti vogliamo tanto bene, infatti ci gioisce quando tu gioisci”.

E dunque la solitudine… Mio padre è stato efficacissimo “in mezzo a una solitudine”, io me lo vedo, questo vecchio ancora bello e nobile solo, seduto in mezzo a un cerchio, a una gabbia circolare, illuminato e irraggiungibile; solo senza passato, senza presente e soprattutto futuro.

E poi il tempo, il tempo che non passa mai, perché cosa faccio fare a un malato così? Mio padre era stato carabiniere incaricato dell’ufficio e delle indagini e per la sua memoria lo chiamavano il computer, lo ricordo però, quando, già malato puliva il prezzemolo. Era il compito più importante del mondo e guai a distrarlo. Fa sorridere eppure meglio così, meglio in qualche modo ammazzare il tempo che stare nel cerchio del vuoto.

Importante è soprattutto ricordare che rimane la possibilità di gioire, anche se poco, per breve tempo; gioire per l’affetto che unisce, che è dolore immenso, ma anche appunto amore.

E dunque che si facciano le ricerche, ma io in queste condizioni lo dico già: potrei contribuire alla ricerca, però se non vi fosse cura certa, mai e poi mai vorrei sapere di essere potenzialmente una malata di Alzheimer.

Facciano le ricerche perché la malattia è un disastro sociale oltre che individuale, ma scusate io per ora preferisco chiudere occhi, orecchie e aspettare, come mia made, la miracolosa pillola.

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