Ebbene sì. L’autore della prossima settimana sarà uno dei punti di svolta della nostra rubrica. Dopo di lui, la Filosofia e il modo di essere concepita non sarà più uguale. Concedetemi però di temporeggiare ancora per 7 giorni e di parlarvi, oggi, di un filosofo italiano il cui pensiero resta ai più sconosciuto ma il cui nome riecheggia spesso nelle nostre orecchie. Costui è GiamBattista Vico.
Vico può essere considerato, insieme a PietroVerri e Cesare Beccaria, il nostro illuminista.
Crea ex-novo un sistema di pensiero articolato e sistematico. Nasce un nuovo metodo, partendo dalla critica al buon vecchio Cartesio (avete notato forse che un po’ tutti i filosofi lo prendono di mira).
Quello che Vico proprio non sopportava era il concetto cartesiano di evidenza e di verità scientifica. Cartesio, e anche Galilei per certi versi, hanno avuto la pretesa di scoprire un metodo rigorosamente scientifico partendo da leggi matematiche riscontrabili in natura. A leggere Descartes, sostiene Vico, sembra quasi che tale metodo possa estendersi anche alle scienze sociali e e morali. Errore imperdonabile. Cartesio erra per due volte: il primo errore è pensare che il mondo degli uomini, la storia, la retorica abbiano qualcosa a che fare con le astrazioni geometriche. Secondo errore consta nel ritenere, che quelle che noi chiamiamo scienze, siano vere scienze. Qui occorre spiegare il perché di tale affermazione. Vico è convinto che si possa parlare di scienza solo ed esclusivamente quando si è in grado di produrre l’oggetto che si vuol conoscere. Non a caso la sua frase più famosa è: Verum et factum conventuntur. Vale a dire: il vero equivale al fare. (Letteralmente il vero e il fatto si convertono reciprocamente). L’uomo può creare la natura? Ovviamente no. Di conseguenza, nel ragionamento di Vico, di essa ( della natura cioè) potrà avere scienza solo Dio, che la crea.
Crolla anche l’assunto del cogito di Descartes ( Cogito ergo sum= Penso dunque sono) che in “filosofese” viene definito “principio di evidenza assoluta”.
Si rivela infatti come un principio vuoto; avere coscienza del proprio pensiero e della propria esistenza non significa affatto averne scienza.
L’unica cosa a cui può dedicarsi anima e corpo l’uomo è il mondo civile in cui vive. Solo di questo l’essere umano ha coscienza e scienza. Una sorta di scienza della storia. Il metodo, su cui deve basarsi tutto quanto, consta di due parti: la filologia e la filosofia. La prima ha il compito di fornire la conoscenza del certo, dunque di raccogliere i fatti, i documenti…la seconda, di insegnarci il vero vale a dire trarre dagli avvenimenti che possono capitare ogni giorno, le leggi eterne che li regolano.
Questo discorso ci deve far aprire una parentesi sulle concezioni della storia di Vico. E’ interessante perché fino ad ora pochi filosofi si sono lungamente soffermati a parlare di storia, considerandola come il naturale succedersi di avvenimenti umani. Con Vico cambia il paradigma, ne consegue che la storia divenga oggetto di una riflessione profonda. Si tratta di qualcosa di “ciclico” che si delinea in tre fasi diverse- evidente è l’influsso di Platone del “Crizia”-.Si tratte dell’età degli dei, degli eroi e degli uomini,
La prima è caratterizzata dal senso, la seconda dalla fantasia e la terza dalla ragione. E’ una sorta di sviluppo psico-fisico di tutta l’umanità.
Il corso di queste tre epoche si ripete, dando vita a un cosiddetto ricorso storico. Ogni civiltà nasce, dalla barbarie, cresce e muore. Naturalmente. Gli uomini, a questo punto, ricadono nella barbarie e ricomincia il ricorso delle stesse vicende. Quindi ad esempio Omero trova il suo parallelo in Dante, vate e punto di partenza di un’Italia ancora barbara. I corsi e i ricorsi storici non avvengono automaticamente o guidati dal fato. Alla base di questo processo storico si manifesta la provvidenza divina. E’ essa a guidare la storia ideale eterna. Le tappe sinteticamente sono queste: barbarie, incivilimento che degenera in corruzione e lusso , dissoluzione e vizio e decadenza fino alla nuova barbarie. La provvidenza ha un ruolo di guida “generale” instillando nell’uomo il senso comune del bene, che li indirizza verso valori costruttivi, ma non può condizionare totalmente le vicende umane. L’uomo resta , quindi, protagonista del proprio destino.
Vico fu riscoperto e molto amato da filosofi dell’800 in particolar modo da Compte. Non senza ragioni, Vico verrà assunto come autore guida della sociologia nascente proprio per aver analizzato in modo così sottile il nesso fra uomo e storia\ società. Si presenta come il profeta e l’iniziatore di queste scienze nuove.
Chiudo con una domanda a cui vi inviterei a rispondere: Se, secondo Vico, non possiamo conoscere la natura come scienza in quanto non creata da noi, quale diritto ha l’uomo di sfruttarla e soggiogarla al proprio uso-frutto personale? L’uomo è superiore, di conseguenza agli altri esseri?
Sono certa che il nostro caro filosofo ci avrebbe risposto alla prima domanda con un “no” secco e deciso. Alla seconda avrebbe titubato un po’..L’uomo è infatti ancora al centro del “cosmo” delle riflessioni di Vico e trattato come “creatura” privilegiata.
A venerdì!
Il film che vi consiglio questa settimana è La vita degli altri, di Florian Henckel von Donnersmarck.