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Modifica della legge quadro sui parchi: intervista al presidente dell’Associazione Nazionale Personale Aree Protette

Scritto da Federica di Leonardo il 10.10.2011

Nell’ambito della discussione in atto sulla modifica alla legge quadro sui parchi, legge che ha permesso lo sviluppo delle aree protette in Italia negli ultimi 20 anni, e che, secondo alcuni, necessita di essere modificata,  abbiamo intervistato Elio Tompetrini, presidente dell’Associazione 394, Associazione Nazionale del Personale delle Aree Protette.
L’Associazione culturale 394, afferma Tompetrini “vuole fare rete e portare lo specifico contributo tecnico del personale nei dibattiti sulla tutela ambientale, nei processi di miglioramento della qualità della vita e nella tutela dei beni collettivi, come stabilito dalla legge quadro. Molti concittadini mostrano, una volta informati, grande sensibilità verso temi che toccano da vicino la qualità dei territori e quindi della vita loro e delle future generazioni”.

D: Da alcuni anni è in atto un tentativo di modifica del legge quadro sui parchi ( 394/91). Negli ultimi mesi i lavori si sono fatti più intensi.
 Ci può spiegare in che modo si intende modificare la legge? Qual è il suo parere in proposito e che effetti avrebbe sul personale dei parchi?
 

E.T.: La legge quadro è unanimemente riconosciuta come una legge adeguata ed efficace, che ha permesso al nostro Paese di tutelare aree di straordinaria valenza naturalistica, ambientale, culturale e paesaggistica. Non è poco, se si considera l’attenzione della nostra politica a questi temi, non certo tenuti nel debito conto. Purtroppo di speculazioni, danni ambientali, banalizzazioni e perdite irreversibili del paesaggio, l’Italia è piena.
La Legge è stata impostata per essere, ovviamente, interamente attuata. Ciò non è avvenuto: diverse parti sono rimaste inespresse. Cito la mancata realizzazione della Carta della natura (art. 3), la mancata attuazione dei Programmi nazionali e politiche di sistema, con relativi accordi di programma e relativo reperimento delle risorse (art. 1 bis), piuttosto che l’anomalo ritardo nell’approvazione del Piano e del PPES (art. 12 e 14), o dei Regolamenti (art. 11), che sono rimasti a livello di provvisorietà, o la mancata attuazione delle misure di incentivazione (art. 7).
Gli emendamenti in esame in Parlamento non pare siano partiti da un’analisi complessiva dell’attuazione della Legge. Propongono una serie di modifiche, di diverso tenore ed effetto, che non aggiornano l’impianto normativo all’evoluzione della tutela ambientale, anche internazionale, ma prevedono interventi su specifici aspetti.
Accanto ad alcuni aggiustamenti procedurali, sono previste modifiche o intere riscritture di articolati. Ci siamo già espressi, nel merito tecnico, sull’emendamento che riscrive l’art. 16 sulle entrate degli enti parco, prevedendo entrate dalla presenza di impianti produttivi di varia natura. Come abbiamo scritto nella lettera aperta sottoscritta insieme a altre associazioni (che riporto): le conseguenze di tale norma sarebbero fin troppo evidenti: perdita di autonomia degli Enti Parco e, inevitabilmente, di rigore e imparzialità, quali principi di valenza costituzionale, nei procedimenti di valutazione ambientale e di rilascio dei nulla osta. Verrebbe in pratica sovvertito il ruolo delle aree protette, in quanto “premiate” in relazione alla quantità di beni comuni (acqua, paesaggio, biodiversità, suolo, foreste) che lascerebbero sfruttare, e non a quelle che riuscirebbero a tutelare. Una ingerenza diretta da parte di lobby, quasi sempre private, nella gestione dei Parchi. Una proposta, quindi, in netto contrasto anche con la volontà che gli italiani hanno rivendicato dicendo no alla privatizzazione dell’acqua quale bene comune.

Il discorso sulle entrate degli enti parco è certamente da affrontare, ma senza il condizionamento della contingente crisi economica, con una proposta non nitida e dagli effetti non prevedibili e diversamente interpretabili.
Per brevità non è possibile entrare nello specifico di tutte le modifiche presentate. Ci tengo però a segnalare la nuova composizione dei Consigli Direttivi, dove vengono eliminati i rappresentanti del ministero dell’Ambiente. La 394 si riferisce espressamente agli artt 9 (La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione), e
 32 ( La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività), della Costituzione. Il titolo V della Carta sancisce espressamente che spetta allo Stato in via esclusiva la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. Non pare coerente con tale prescrizione la rimodulazione dei componenti dei Consigli Direttivi, ove spariscono i rappresentanti dello Stato. La formulazione vigente assicura invece la partecipazione di varie componenti, portatrici di interessi nazionali (tutela di beni comuni) e di interessi locali. Oltretutto i rappresentanti delle istituzioni locali diventerebbero la maggioranza. Ciò appare in contrasto con il valore della tutela di beni comuni dell’intera collettività, che solo lo Stato può garantire.

Sul tema del divieto dell’attività venatoria, dalla scrittura dell’attuale art. 11 non ci sono dubbi. Se poi si introducono riferimenti al controllo della fauna, allora bisogna stare molto attenti e ponderare bene le parole e le virgole, perché da sempre il mondo venatorio cerca gli spiragli giusti per entrare e uccidere la fauna selvatica nelle aree protette.
Per quanto attiene la seconda parte della domanda, ci tengo a precisare che l’associazione non difende gli interessi dei dipendenti e non ha natura sindacale o partitica. Il personale delle aree protette si associa per condividere le esperienze e le conoscenze e far crescere la propria professionalità e quelli degli altri, uscendo da un isolamento che da sempre rende il nostro lavoro ancor più difficile, malgrado la passione. Detto ciò, le conseguenze di una modifica normativa non ben ponderata non sono dirette e personali, ma riguardano la qualità della gestione e del contributo che ogni operatore può riuscire a dare. In sostanza, sia l’associazione sia i singoli sono e saranno del tutto indipendenti da qualunque condizionamento.

 

D.: Secondo lei sarebbe necessaria una modifica della legge? In che senso?

E.T.: Non si nega che ci sono parti della legge che hanno avuto un’applicazione lenta e difficile, come già ricordato, e che ci sono delle criticità, ma prima occorre un’analisi delle stesse e dell’impatto/conseguenze delle modifiche. Tutto ciò appare difficile senza che vi sia stato un confronto reale, tra gli altri, con chi lavora in prima linea nella gestione dei parchi e sperimenta quotidianamente le problematiche operative. La nostra esperienza può essere molto utile per valutare gli effetti positivi o negativi delle modifiche, che hanno conseguenze tecniche, con effetto diretto sull’effettiva applicazione delle norme nella quotidianità.

 

D.: Ci sono degli aspetti in cui, secondo lei, a livello legislativo e  conseguentemente gestionale, il sistema dei parchi è carente?

E.T.: Il nostro è un sistema giovane, fatta salva l’esperienza dei parchi storici, e pertanto ancora per molti versi sperimentale; non ci sono prassi, giurisprudenza e dottrina sufficientemente consolidate, per cui sono certamente amplificate le difficoltà che vivono le pubbliche amministrazioni in generale.
Per questo, anziché di carenza, preferiamo parlare di provvisorietà: il sistema normativo delle aree protette nel loro complesso ha avuto un’applicazione sperimentale, e i dati e l’esperienza acquisite possono servire per migliorarne innanzitutto l’interpretazione e l’attuazione e superare la provvisorietà e le incertezze. Non c’è dubbio che la storia ci insegna che le norme servono se la loro applicazione è efficace: il caso della legge quadro è esemplare. Dipende molto dall’attuazione. Certamente l’adeguamento e il coordinamento con le normative internazionali, anche per la classificazione dei parchi, è necessario.

Un’ampia tematica riguarda anche il Piano del Parco, nei rapporti con i diversi livelli di pianificazione che negli ultimi vent’anni sono proliferati. Non dimentichiamo poi gli aspetti delle dotazioni organiche, in forte crisi. Senza personale adeguato, non è possibile mettere in atto appieno le finalità della Legge. Anche in tema di finanziamenti alcuni interventi sarebbero necessari. Si sente la mancanza di una regia complessiva che supporti gli enti in genere (si pensi alla diffusione e condivisione delle prassi), e in particolare per l’accesso, ad esempio, ai fondi comunitari, vera fonte di finanziamenti che non è stata sfruttata se non in minima parte. Non dimentichiamo, infine, che il saldo fra finanziamenti pubblici ai parchi e la loro “resa” (ovvero mantenimento della biodiversità, conservazione del paesaggio e del territorio, turismo sostenibile, rafforzamento della legalità, qualità delle risorse primarie e della salute) è oggi in forte attivo.
Auspichiamo, infine, che se si vorrà intervenire sulla legge 394 in questo momento, non si perda l’occasione per fare un’approfondita riflessione sulla natura giuridica degli enti parco nazionali. La loro classificazione tra gli enti pubblici non economici è fonte di notevoli problematiche di ordine giuridico – amministrativo, comportando un regime di gestione del tutto inappropriato e troppo rigido per enti di piccole dimensioni e che si dovrebbe caratterizzare per semplicità, speditezza e flessibilità.

Non solo, ma tra le più gravi conseguenze dell’attuale regime giuridico a cui gli enti parco nazionali sono sottoposti, vi è il fatto di restare sistematicamente travolti dalle più disparate norme di contenimento della spesa, che comportano tagli trasversali e indiscriminati, diminuendo in modo significativo la funzionalità e l’efficienza degli enti parco. Vi è da aggiungere, tuttavia, che se una modifica della natura giuridica non verrà accompagnata da una parallela modifica della politica, non si otterranno grossi risultati. A volte sarebbe bastata e basterebbe una maggiore attenzione, prevedendo semplicemente l’esclusione degli enti parco dall’applicazione di norme inadeguate e pregiudizievoli per le aree protette. Ne sia un esempio anche l’ultima manovra economica, che prevede un ulteriore taglio del 10% dell’organico di enti che già operano con pochissimo personale e limiti di spesa stringenti, che compromettono seriamente la possibilità di perseguire le finalità istituzionali, fra cui lo sviluppo compatibile.


D.: Quale sarebbero le azioni da compiere per  apportare un’eventuale  modifica? In che modo andrebbe condotta una discussione in proposito?

E.T.: Prima di entrare nel merito delle modifiche, sarebbe utile conoscere lo stato dell’arte. Cosa ha prodotto la legge quadro per la collettività e la qualità del territorio italiano? Quali i pregi e le carenze da colmare? Questo Paese vuole mantenere il territorio protetto da impatti spesso irreversibili, con perdita dell’identità a favore dell’omologazione, o vuole cedere a finalità di “profitto ambientale” immediate, senza curarsi delle future generazioni? Quali sono, quindi, le strategie nazionali in materia di tutela ambientale per i prossimi vent’anni? Analisi ne sono state già fatte, ma parziali e senza il coinvolgimento di tutti i soggetti operanti nella gestione dei parchi (comprese le professionalità del personale, che hanno vissuto con continuità l’esperienza delle aree protette), con i diversi punti di vista e con le diverse competenze. Una Terza conferenza delle aree protette, tematica, preliminare e preparatoria all’intervento legislativo, ampia e partecipata, è a nostro avviso indispensabile.

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