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Conservazione e legge quadro sui parchi: la necessità che nasca una scuola

Scritto da Nino Martino il 14.10.2011

Questi giorni convulsi per la politica italiana corrono il rischio di far passare troppo sotto silenzio le proposte di modifica della legge sulle aree naturali protette, la 394/91 di cui il 6 dicembre prossimo ricorre il ventennale.
Coloro che da sempre la hanno osteggiata, usano strumentalmente proprio questa scadenza per dire che “è vecchia”. Come se l’età o il luogo di nascita o il colore della pelle di per sé potessero essere un giudizio ammissibile. Francamente ritengo che le persone, e mutatis mutandis, anche le leggi vadano giudicate per i loro contenuti e soprattutto per i loro risultati.

Allora diciamo subito che la 394/91 è una delle migliori leggi italiane in materia di ambiente. Scritta ed approvata dopo un lungo e faticoso iter parlamentare, durato ben più di una legislatura. Già questo dovrebbe indurre i nostri parlamentari ad una maggiore accortezza nel tentativo di “ammodernarla”. Serve sicuramente un grande coinvolgimento delle associazioni culturali ed ambientaliste, del mondo accademico e scientifico, delle associazioni del mondo economico, di quella “gente dei parchi” che in questi venti anni ha lavorato, dentro e fuori le istituzioni, affinché il sogno di consegnare ai nostri figli un mondo migliore si potesse, almeno un pochino, avverare.

Allora se in alcune parti la legge 394 potrà essere ammodernata con facilità, non deve mancare la consapevolezza che alcune modifiche potrebbero avere effetti molto deleteri sulla capacità di conservazione della natura, del paesaggio, della biodiversità che sin qui è stata conseguita e maturata.
E queste sono capacità che risiedono nelle persone, nella loro cultura, nella loro partecipazione, nel loro coinvolgimento nella “mission” istituzionale. Non si fa conservazione della natura se qualcuno non ha “piacere” di alzarsi prima dell’alba o di andare a letto molto dopo il tramonto, solo per “lavorare”! Ci sono impegni lavorativi che non hanno prezzo e infatti non vengono pagati. Ma senza la motivazione ed il coinvolgimento i parchi sono destinati a morire.

Appare intuibile, infatti, che le politiche di sottrazione di competenze e di fondi ai parchi stanno minando alla base stessa la capacità di incidere di queste piccole strutture, spesso oberate da tantissimi impegni burocratici ed amministrativi, da praticamente non avere tempo per quello che è il loro stesso fine istituzionale…conservare piante e fiori, animali e paesaggi, aria ed acque pulite.
Il tutto condito da una cronica incapacità di capire che senza formazione ed aggiornamento qualunque struttura perde efficienza e quindi efficacia.

Se questo è un disegno politico è molto lucido. Se è casuale è un segno ulteriore del decadimento apparentemente inarrestabile di quello che fu il Belpaese.

Allora chiediamo ai parlamentari impegnati nella revisione della 394/91 che rammentino che il problema principale di uno Stato che si rispetti è quello di dare consapevolezza, strumenti, capacità, a chi giura di servirlo.
Vi pare possibile che noi si prenda un giovane e gli si metta una divisa e si dica…vai difendici! No, nessuno sano di mente lo farebbe mai. Ma nel mondo dei parchi è quello che accade. I dipendenti ed i direttori accedono al loro lavoro, temporaneo o definitivo, senza alcuna specifica formazione. In Italia non c’è, infatti, alcuna “scuola per i parchi”. Solo pochi master universitari provano a rimediare a questo vuoto formativo.

Crediamo che tra le tante, e a volte “fantasiose”, proposte di modifica della legge quadro sulle aree naturali protette, la n. 394/91, questa è una che meriti davvero di essere presa in considerazione: istituire una scuola per i parchi, che formi ed aggiorni il personale tecnico ed amministrativo che opera nelle aree naturali protette. Una scuola che istituzionalizzi e renda “obbligatorio” lo scambio di esperienze e di buone pratiche. Una scuola che, magari, un giorno potrà aiutare anche gli amministratori delle aree protette, che spesso arrivano ai parchi per “logiche” esclusivamente politiche, senza alcuna formazione specifica, a comprendere meglio il valore inestimabile di un endemismo o di un paesaggio, un valore imprescindibile anche per quelle persone che, al bar, premono per chiudere i parchi o trasformarli in strutture vuote o burocratiche.

Nino Martino

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  • Wilson scrive:

    Mah, pensare che gli architetti siano titolati a dirigere un parco e abbiano qualche competenza in conservazione della natura perché un “architetto è il direttore di un parco nazionale dedicato esplicitamente alla celebrazione della storia della conservazione della natura e dei parchi” mi suona ridicolmente tautologico. (Per dire: Mendel era un monaco, ma ciò non ha reso i monaci particolarmente portati per la genetica).
    Per quanto riguarda il “pezzo di carta”, fin quando in Italia le competenze verranno stabilite in base al titolo di studio e non alle conoscenze particolari e alle inclinazioni di ognuno questo deve valere per tutti. Non vedo perché debba essere possibile occuparsi di conservazione della natura senza avere titoli adeguati (che pure esistono e sono altamente qualificanti) e non debba essere possibile, invece, fare l’avvocato o l’architetto senza il relativo titolo di studio. Altro che aria fritta.

  • Maurilio Cipparone scrive:

    Solo una risposta rapida, per motivi di stanchezza. Le osservazioni di lettore Wilson, che vedo solo oggi, dimostrano proprio che la “scuola dei parchi” servirebbe, e come. Il fatto che il dirigente di un’area protetta debba essere un naturalista (o affini) è sostanzialmente errato, il che non vuol dire che basti l’italico pezzo di carta per fare il direttore di un parco ma che in aggiunta ad esso, di qualunque disciplina si tratti, occorre una specifica e “aggiuntiva” preparazione (per non parlare della motivazione). Forse non tutti sanno che a promuovere e progettare un famoso parco, statale, prima (1864, e nazionale, poi, sia stato un architetto…così come architetto è il direttore di un parco nazionale dedicato esplicitamente alla celebrazione della storia della conservazione della natura e dei parchi. Queste cose, se ci fosse una “scuola” dei parchi, forse si saprebbero e si eviterebbero inutili disquisizioni sull’aria fritta.

  • Wilson scrive:

    È vero, in Italia non esiste una “scuola per i parchi”; esiste, tuttavia, qualcosa di molto più qualificante: un corso di Laurea (anche piuttosto anzianotto, in verità) in Scienze Naturali con indirizzo – udite, udite – in Conservazione della Natura e delle sue risorse, che mira a formare professionisti proprio nella conservazione di “piante e fiori, animali e paesaggi, aria ed acque pulite”. Che bello, eh?
    Quella della conservazione dovrebbe essere la principale ragion d’essere di ogni parco e area naturale protetta, se non fosse per il piccolo dettaglio che a dirigere tali istituzioni vengono ammessi architetti (ah ah!), ingegneri (doppio ah ah!), avvocati, sociologi, laureati in lettere (…) che non mi risulta siano propriamente esperti in conservazione della natura e affini.
    Come la mettiamo, allora? Semplice: anziché ulteriori proposte “fantasiose” (e quella di una “scuola per i parchi” lo è di certo) di modifica della 394, si chieda, anzi, si pretenda che ad occuparsi dei parchi siano professionisti davvero qualificati in conservazione e gestione della natura e non gente che non sa distinguere un albero da un palo della luce.