La voglia di cibi grassi e calorici è stata spiegata da ricercatori italiani, che hanno scoperto come alcune sostanze simili a quelle delle droghe, gli endocannabinoidi, possono avere un ruolo nel processo di dipendenza. Questa scoperta secondo i ricercatori potrebbe aprire la strada a nuovi farmaci anti-obesità.
La scoperta è stata annunciata dal Dipartimento Drug Discovery and Development dell’Istituto Italiano di Tecnologia, guidato dal Prof. Daniele Piomelli, ed è stata pubblicata sulla rivista PNAS. Hanno collaborato anche l’Università della California – Irvine e l’Albert Einstein College of Medicine of Yeshiva University, New York.
I ricercatori coinvolti hanno identificato un sorprendente meccanismo biologico, che si è dimostrato essere alla base della difficoltà nello smettere di mangiare cibi ricchi di grassi, una volta iniziata la loro ingestione.
Dai test è emerso il ruolo fondamentale degli endocannabinoidi, sostanze prodotte dal corpo umano e che contengono lo stesso principio attivo della marijuana, o Cannabis, il THC. Il desiderio di cibo è infatti uno degli effetti collaterali che queste sostanze possono creare nel corpo umano.
Grasso colpevole
Nei test effettuati i ricercatori hanno accertato che solo i lipidi e non zuccheri o proteine, generano un segnale di rinforzo nella lingua che il cervello legge come stimolo dell’appetito, facendo scattare la sensazione di fame attraverso la produzione di due endocannabinoidi, l’anandamide e il 2-AG (2-arachidonil-sn-glicerolo), che si legano al loro recettore target CB-1 (Cannabinoid-1).
“Parlando in termini evolutivi – spiega il Prof. Daniele Piomelli – l’esistenza di questo meccanismo è stata molto importante per l’adattamento e la sopravvivenza dei mammiferi, in quanto i cibi grassi rappresentano un’importante e primaria fonte di energia. Ma, oggi, non è più così, sia perché nell’ambiente in cui viviamo abbiamo a disposizione tutti i nutrienti di cui abbiamo bisogno, sia perché lo sforzo fisico a cui siamo sottoposti è molto minore rispetto al passato. Quindi, questo meccanismo, così necessario nel passato, è diventato causa di sovrappeso, obesità e patologie molto importanti, quali il diabete, la malattia coronarica e i tumori”.
Inoltre, è stato dimostrato anche che, attraverso la somministrazione di un antagonista del recettore CB-1, chiamato rimonabant, che ne blocca l’attivazione, il bisogno di ingestione dei grassi diminuisce. Questo fatto ha un risvolto molto importante: sarebbe possibile inibire i recettori degli endocannabinoidi a livello locale, nell’intestino, e non centrale, eliminando così gli effetti collaterali del loro blocco sul cervello, quali ansia e depressione.
«Oggi, le soluzioni contro all’obesità – continua il prof. Piomelli – non sono molte e, comunque, sono piuttosto invasive o hanno degli effetti collaterali decisamente importanti. Pensiamo, ad esempio, agli interventi “gastrorestrittivi”, con l’uso di un palloncino o di un anello, o alla prescrizione di farmaci anoressizzanti, quali l’amfetamina. La possibilità di inibire a livello locale, e non centrale, il desiderio di ingerire i grassi sarebbe un grandissimo passo avanti, con innumerevoli vantaggi per la salute del paziente».