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Cannabis: l’uso regolare influisce su glicemia e insulino-resistenza

Scritto da Redazione di Gaianews.it il 17.05.2013

I consumatori regolari di marijuana hanno livelli di insulina più bassi del 16 per cento rispetto a chi non la assume, secondo una ricerca apparsa sull’American Journal of Medicine.

L’uso di marijuana può avere effetti positivi nel controllo del diabete  secondo gli esperti. Lo studio ha infatti rilevato che i consumatori regolari di marijuana avevano livelli più bassi di glicemia  a digiuno con una minore insulino resistenza. Questo è rimasto vero anche per i pazienti con il diabete mellito. 

Cannabis

La marijuana  è stata usata per secoli per alleviare il dolore, migliorare l’umore e aumentare l’appetito. Fuori legge negli Stati Uniti dal 1937, oggi l’opinione pubblica ne chiede l’utilizzo per usi terapeutici. Secondo una  stima negli USA ci sono 17,4 milioni di consumatori di marijuana. Circa 4,6 milioni fumano la  marijuana ogni giorno o quasi ogni giorno. Una forma sintetica del principio attivo, il tetraidrocannabinolo, comunemente conosciuto come THC, è già stata approvata per il trattamento di effetti collaterali di chemioterapia, anoressia indotta dall’ AIDS, nausea, e altre condizioni mediche. Con la recente legalizzazione della marijuana per uso ricreativo in due Stati americani e la legalizzazione della marijuana medica in 19 stati e nel Distretto di Columbia, i medici incontrano sempre più la volontà di usare la marijuana fra i pazienti.

Un gruppo di ricerca multicentrico ha analizzato i dati ottenuti dal National Health and Nutrition Survey (NHANES), fra il 2005 e il 2010. Hanno studiato i dati provenienti da 4657 pazienti che hanno risposto ad un questionario sull’uso della droga. Dai questionari risulta che  579 erano consumatori effettivi di marijuana, 1.975 avevano usato la marijuana in passato e 2103 non aveva mai ingerito o inalato la marijuana. Ai partecipanti sono stati poi misurati i valori relativi all’insulino-resistenza e ai valori di glicemia attraverso l’analisi del sangue.

I partecipanti che utilizzano la marijuana nell’ultimo mese avevano livelli più bassi di insulina a digiuno e di insulino resistenza e più elevati livelli di colesterolo ad alta densità lipoproteina (HDL-C). I consumatori regolari hanno livelli più bassi del 16% dei i insulina dei partecipanti che non hanno mai consumato la marijuana nella loro vita.

In questo studio sono state rivelate anche associazioni significative tra l’uso di marijuana e il giro vita.

“Precedenti studi epidemiologici hanno trovato tassi di prevalenza più bassi di obesità e di diabete mellito nei consumatori di marijuana rispetto alle persone che non hanno mai usato marijuana, suggerendo una relazione tra cannabinoidi e processi metabolici periferici, ma il nostro è il primo studio ad indagare il rapporto tra l’uso di marijuana e insulina a digiuno, glucosio e insulino-resistenza “, ha spiegato il ricercatore Murray A. Mittleman, della Cardiovascular Epidemiology Research Unit del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston.

“E’ possibile che l’associazione inversa dei livelli di insulina a digiuno e dell’insulino-resistenza vista tra i consumatori di marijuana potrebbe essere in parte dovuta ai cambiamenti nei modelli di utilizzo rispetto a quelli con una diagnosi di diabete, cioè, per esempio, a quelli con il diabete potrebbe essere stato chiesto di smettere di fumare. Tuttavia, dopo che abbiamo escluso i soggetti con diagnosi di diabete mellito, l’associazione tra l’uso di marijuana e i livelli di glucosio, insulina, circonferenza della vita e il Colesterolo-HDL è rimasta statisticamente significativa”, afferma Elizabeth Penner, un’autrice dello studio.

Anche se le persone che fumano marijuana hanno più alti livelli medi di apporto calorico rispetto ai non-consumatori, l’uso di marijuana è stato associato ad un più basso indice di massa corporea (BMI) nelle due precedenti indagini. “I meccanismi alla base di questo paradosso non sono stati determinati e l’impatto del consumo di marijuana regolare sull’insulino-resistenza e sui fattori di rischio cardiometabolico rimangono sconosciuti”, ha spiegato il coautore Hannah Buettner.

Secono Joseph S. Alpert, Professore  presso la University of Arizona College of Medicine, a Tucson, “queste osservazioni sono notevoli e sono supportate, come gli autori fanno notare, da esperimenti scientifici di base che sono già giunti a conclusioni simili.

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