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Epatite C si combatte nel fegato, ricercatori scoprono come fare

Scritto da Redazione di Gaianews.it il 18.01.2012

EpatiteGli scienziati hanno identificato un nuovo potenziale metodo per bloccare il ciclo di vita del virus dell’epatite C, che potrebbe portare a nuove terapie per le persone colpite dalla malattia.

Più di 170 milioni di persone nel mondo soffrono di epatite C, la malattia causata da infezione cronica da HCV, il virus che la causa. La malattia colpisce il fegato ed è una delle principali cause di cancro del fegato e e di trapianto di fegato in tutto il mondo.

L’HCV si trasmette attraverso il contatto con sangue infetto e non esiste un vaccino per prevenire il contagio. Gli attuali trattamenti contro la malattia sono solo moderatamente efficaci e possono causare gravi effetti collaterali.

“Quando l’HCV infetta una persona, ha bisogno delle cellule di grasso presenti nel fegato per formare nuove particelle virali”, ha detto Jean Francois, professore associato presso il Dipartimento di Microbiologia e Immunologia e Direttore Scientifico del Fondo per le Malattie Infettive e della Ricerca Epidemic (FINDER) dell’Università della British Columbia. “In questo processo provoca l’accumulo di grasso nel fegato e alla fine porta alla disfunzione cronica dell’organo.”

“L’HCV è in costante mutamento, il che rende difficile lo sviluppo di terapie antivirali che colpiscono il virus stesso. Così abbiamo deciso di adottare un nuovo approccio”.

Jean e il suo team hanno sviluppato un inibitore che riduce la dimensione delle particelle ospiti di grasso nelle cellule epatiche, e questo sembra fermare l’HCV dal “prendere dimora”, moltiplicarsi e infettare altre cellule.

“Il nostro approccio blocca essenzialmente il ciclo di vita del virus, in modo che non può diffondersi e causare ulteriori danni al fegato”, ha detto Jean.

Secondo Jean, l’HCV è uno di una serie di virus che richiedono queste strutture lipidiche per replicarsi nel corpo umano. Questo nuovo approccio per contenere la replicazione dell’HCV potrebbe tradursi in terapie simili per altri virus che causano infezioni gravi negli esseri umani, come il virus della dengue.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista PLoS Pathogens.

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