Per quale motivo all’interno di una popolazione della stessa specie, alcuni individui vivono tre volte più a lungo di altri? Questa domanda ha sconcertato gli scienziati per secoli.
I ricercatori EPFL guidati da Johan Auwerx spiegano sulla rivista Nature come un meccanismo nei topi ha un ruolo determinante nella longevità. E vanno oltre: interrompendo questo meccanismo, utilizzando semplici antibiotici in una popolazione di nematodi, o vermi cilindrici, si può moltiplicare la durata della vita di un fattore di 1,6.
Il processo identificato dagli scienziati EPFL si svolge all’interno dei mitocondri, le centrali elettriche cellulari che trasformano i nutrienti in proteine, tra cui l’adenosina trifosfato (ATP) utilizzata dai muscoli come fonte di energia.
Ma non è tutto. Diversi studi hanno dimostrato che i mitocondri sono coinvolti anche nell’invecchiamento. La nuova ricerca EPFL, fatta in collaborazione con i partner nei Paesi Bassi e negli Stati Uniti, individua i geni coinvolti e le misure esatte delle conseguenze per la longevità: meno proteine, vita più lunga.
I topi di laboratorio della specie di riferimento BXD vivono in media 365-900 giorni. Questa popolazione, che riflette le variazioni genetiche che si verificano naturalmente all’interno di una specie, è utilizzata da molti ricercatori in un approccio noto come “genetica del mondo reale.” Il vantaggio di lavorare con questo genere di topi è che il loro genoma è quasi completamente decodificato.
Il team guidato dal professor Auwerx, responsabile del Laboratorio di EPFL di fisiologia integrativa e sistemica, ha analizzato il genoma dei topi in funzione della longevità e ha trovato un gruppo di tre geni situati sul cromosoma numero due che, fino ad ora, non si pensava avesse un ruolo importante nell’ invecchiamento. Ma i numeri non mentono: una riduzione del 50 per cento di questi geni e quindi una riduzione delle proteine , aumenta la vita di un topo di circa 250 giorni.
Successivamente, il team ha riprodotto le variazioni delle proteine in una specie di nematodi, i Caenorhabidtis elegans. “Riducendo la produzione di queste proteine durante la fase di crescita dei vermi , abbiamo aumentato significativamente la loro longevità”, spiega Auwerx. La vita media di un verme manipolato in questo modo è passata da 19 a più di 30 giorni, con un aumento del 60 per cento. Gli scienziati hanno poi condotto test per isolare la proprietà comune e stabilito che la presenza di proteine ribosomali mitocondriali (MRP) è inversamente proporzionale alla longevità.
I ricercatori hanno concluso che la mancanza di MRP in alcuni momenti chiave dello sviluppo crea una reazione di stress specifico conosciuto come “risposta spiegata della proteina” all’interno dei mitocondri. “La forza di questa risposta è risultata essere direttamente proporzionale alla durata della vita”, dice Auwerx. “L’esposizione a certi farmaci prontamente disponibili inibisce la funzione dei ribosomi e quindi provoca la reazione desiderata”, dice Auwerx. In altre parole, i mitocondri sono sensibili a certi antibiotici, ed i farmaci possono essere utilizzati per prolungare la vita.
Tutte le indicazioni sono che i meccanismi osservati e collaudati nei vermi dovrebbero essere simili a quelle dei topi, e quindi forse anche di altri mammiferi. Ulteriori studi sono necessari, ovviamente, per confermare che l’invecchiamento ed i suoi effetti deleteri potrebbero essere rallentati nei mammiferi usando antibiotici in momenti precisi della fase di sviluppo.
“Questa ricerca ci dà speranza, non solo per aumentare la longevità, ma anche per l’allungamento del periodo di vitalità adulto, e fare questo con semplici farmaci, come gli antibiotici”, conclude Auwerx.