Gaianews

Predire il rischio di malattia: il contributo (a volte limitato) della genetica

Scritto da Camilla Di Barbora il 26.05.2012

DnaNegli ultimi anni la medicina ha rivolto una crescente attenzione allo studio della correlazione tra geni e determinate patologie allo scopo di individuare le persone per le quali il rischio di ammalarsi è, su base genetica, significativamente più elevato rispetto alla popolazione generale.

Diversi studi scientifici hanno ribadito l’importante ruolo ricoperto dai modelli statistici predittivi in grado di identificare anche gli effetti sinergici tra varianti genetiche e altri fattori di rischio, per la messa a punto di strategie di prevenzione e trattamento delle malattie “a misura di paziente”. Eppure, secondo una ricerca dell’Harvard School of Public Health (HSPH), pubblicata sul sito del The American Journal of Human Genetics il 24 maggio 2012, la genetica predittiva non fornisce un contributo particolarmente significativo nel prevedere il rischio di malattie complesse come il diabete di tipo 2, il tumore al seno e l’artrite reumatoide.

“Gli studi volti a identificare un effetto sinergico tra una singola variante genetica e un altro fattore di rischio sono estremamente impegnativi e prevedono il coinvolgimento di un numero molto elevato di individui, ma i loro risultati apportano benefici abbastanza limitati in termini di predizione del rischio nella popolazione generale” spiega Hugues Aschard, epidemiologo presso l’HSPH e autore della ricerca.
Per ognuna delle tre patologie, i ricercatori hanno condotto uno studio di simulazione generando una vasta gamma di possibili interazioni statistiche tra esposizioni ambientali e marcatori genetici di rischio. Per il tumore al seno sono stati considerati 15 variazioni genetiche comuni associate al rischio di malattie e fattori ambientali come l’età della prima mestruazione, l’età al primo parto e il numero di parenti stretti che hanno sviluppato un analogo tumore.

Per il diabete di tipo 2, le variazioni genetiche esaminate sono state 31, insieme a fattori come l’obesità, l’abitudine al fumo, l’attività fisica e la familiarità per la malattia. Per l’artrite reumatoide, 31 mutazioni genetiche e due fattori ambientali: il fumo e l’allattamento al seno.

I risultati dello studio non sono stati molto incoraggianti e hanno dimostrato che la complessità dei fattori genetici e ambientali connessi allo sviluppo delle patologie è maggiore di quanto ipotizzato sino ad ora. L’incremento nella sensibilità predittiva del rischio dei modelli statistici impiegati – considerate anche le potenziali interazioni tra fattori genetici e ambientali – è risultato essere compreso tra l’1% e il 3%. Tuttavia, Aschard raccomanda di condurre comunque ulteriori analisi delle interazioni gene-gene e gene-ambiente per raccogliere informazioni sulle cause delle malattie, che potrebbero a loro volta portare a migliori strategie di trattamento e prevenzione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA