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Anormalità nel cervello dei pazienti affetti da stanchezza cronica

Scritto da Leonardo Debbia il 03.11.2014

Mediante uno studio condotto per mezzo della risonanza magnetica per immagini, i ricercatori della Stanford University School of Medicine, in California, hanno scoperto l’esistenza di evidenti differenze tra il cervello di pazienti affetti da stanchezza cronica o CFS (acronimo di Chronic Fatigue Syndrome) e il cervello di persone sane.

qualità del sonno e malattia

“La CFS è una delle più grandi sfide scientifiche del nostro tempo”, spiega Jose Montoya, autore senior dello studio e professore di Malattie infettive e Medicina geografica alla Stanford, che ha seguito per diversi anni circa 200 pazienti con CFS. “Questa sindrome non si manifesta soltanto con l’affaticamento persistente, ma anche con dolori articolari e muscolari, linfonodi, irritazione alla gola, disturbi gastrointestinali, disturbi pressori e anomalie cardiache, febbre, abbassamento della concentrazione e disturbi del sonno. La combinazione dei sintomi può devastare la vita dei pazienti per 10, 20 e anche 30 anni”.

I risultati della ricerca, ove trovassero adeguata conferma, potrebbero portare ad una chiara diagnosi della sindrome e puntare alla conoscenza dei meccanismi che sono alla base della patologia.

Non è raro, infatti, che i pazienti affetti da CFS ricevano diagnosi errate o siano considerati ‘sotto stress’, quando non vengano ritenuti soltanto ipocondriaci, prima che ne venga accertato  l’effettivo stato patologico.

Le anomalie riscontrate nell’indagine potrebbero risolvere forse in via definitiva queste ambiguità.

La ricerca è stata condotta da Michael Zeineh, professore di Radiologia, e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista medica Ragiology di fine ottobre.

“Mediante l’uso di tre sofisticate metodologie diverse di ‘imaging’, abbiamo scoperto che il cervello dei pazienti affetti da CFS è diverso da quello dei soggetti sani riguardo almeno tre punti”, afferma Zeineh.

“In aggiunta alla ricerca del biomarker diagnostico specifico, che stiamo disperatamente cercando da decenni” – commenta il professor Montoya – “questi risultati hanno consentito di identificare la zona o le zone del cervello in cui la malattia ha interagito con il sistema nervoso centrale”.

I ricercatori hanno esaminato le immagini cerebrali di 15 pazienti di Montoya, confrontandole con quelle di 14 persone sane, senza pregressi sintomi di condizioni anche solo simili alla CFS.

Che cosa è emerso?

Tre risultati, anziché uno solo.

In primo luogo, la risonanza magnetica ha evidenziato che la sostanza bianca, il fascio di fibre nervose che uniscono encefalo e midollo spinale, nei pazienti con CFS presentava un volume ridotto rispetto ai soggetti sani.

Sappiamo che la sostanza bianca, a lungo considerata un tessuto passivo, presiede al collegamento e all’interazione degli stimoli motori.

Questo primo risultato non era del tutto inatteso, ritenendo che la CFS avrebbe potuto corrispondere ad una infiammazione cronica quale risposta immunologica prolungata ad uno stato di infezione virale, di cui peraltro non si conosce l’agente, ma che ha ripercussioni sulla sostanza bianca.

La seconda risposta, del tutto inattesa, è scaturita dall’uso di una tecnica di imaging avanzata sulla sostanza bianca. E’ stata infatti identificata una anomalia in un tratto del nervo nell’emisfero destro dei pazienti con CFS, il ‘fascicolo arcuato superiore’, il tratto che unisce il lobo frontale e il lobo temporale del cervello.

E’ stato osservato che quanto più elevato è il grado di anormalità del fascicolo arcuato, tanto più grave si manifestano le condizioni patologiche del paziente.

Infine, i ricercatori hanno trovato nei pazienti con CFS un ispessimento della materia grigia nelle due aree del cervello collegate dal fascicolo arcuato. L’ ispessimento di questa zona, unito all’anomalia riscontrata nella sostanza bianca collegata, ‘rende improbabile che le due scoperte siano casuali’, secondo quanto afferma Zeineh.

Il passo in avanti di questi studiosi è indiscutibile. Ovviamente, questi risultati dovranno, tuttavia, trovare una conferma.

Gli scienziati della Stanford sono quindi in fase di pianificazione di uno studio sostanzialmente ancora più accurato e più ampliato.

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