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Cervello e intestino forse non sono organi così lontani

Scritto da Leonardo Debbia il 24.11.2016

Mens sana in corpore sano. Già presso gli antichi Romani si parlava di correlazione tra mente e corpo, anche se riguardavano aspetti particolari, come poteva essere la prestanza fisica.

I nostri avi avevano avuto comunque già delle intuizioni, applicate ovviamente solo a livelli empirici, osservando la fenomenologia della natura e assegnando importanza e ruoli ad organi che si scoprì poi preposti ad altre funzioni.

Chi non sapeva, ad esempio, che uno stato emotivo poteva provocare crisi intestinali o che una evacuazione normale era sinonimo anche di benessere psicologico?

Ebbene, la scienza si è ora accorta di questi ‘segnali’ che si scambiano organi tanto diversi, come cervello e intestino, ed è nata ora una nuova branca di studio: la psicobiotica.

Si tratta, sostanzialmente, di una branca della scienza che studia i rapporti tra il microbioma intestinale e la nostra mente. Il suo interesse è incentrato soprattutto sulle relazioni con le funzioni conoscitive e l’umore; e oggi molti nutrizionisti elargiscono i loro consigli alimentari anche in funzione di questi rapporti.

In Italia, la nascita ufficiale di questa disciplina è stata annunciata a Giardini Naxos lo scorso anno al 47° Congresso della Società italiana di psichiatria (SPI) dal professor John F. Cryan, della University College Cork, Irlanda.

Il microbioma è l’insieme dei microrganismi che convivono nel nostro intestino: virus, batteri, lieviti. Il legame di questa flora batterica con il cervello sembra sia ricco di implicazioni, sia a livello terapeutico che comportamentale.

Si sviluppa probabilmente per la grande produzione di Dna e la sintesi di molecole che, seguendo complessi meccanismi di mediazione immunitaria, ormonale e neurale, modulano lo sviluppo del cervello.

Sperimentazioni in laboratorio hanno dimostrato che inserendo un determinato ceppo batterico nell’intestino è possibile migliorare la funzione immunitaria, la reazione allo stress e le funzioni cognitive, quali la memoria.

Questi risultati non possono sfociare che in qualche ovvia domanda.

Perché non intervenire sul rapporto intestino-cervello per ottenere effetti psicologici positivi? Ad esempio, per eliminare l’ansia o la depressione?

“Con questa scoperta si potrebbero trattare in un prossimo futuro, i disturbi cerebrali e mentali, semplicemente modificando la flora batterica intestinale”, ha dichiarato infatti il professor Giovanni Bigio, Ordinario di Farmacologia all’Università di Cagliari.

Sull’argomento è ora uscito un articolo su Trends in Neurosciences, a firma Philip Burnet, docente di Psichiatria dell’Università di Oxford, Regno Unito.

“Siamo alla ricerca di precisi meccanismi, principalmente nel modello animale”, afferma Burnet. “Gli studi sugli umani sono interessanti, ma finora effettuati su campioni troppo piccoli che speriamo tuttavia poter aumentare in futuro”.

Di sicuro si sa che in questo rapporto tra intestino e cervello sono coinvolti sistema nervoso gastroenterico, sistema immunitario e nervo vago.

Sembra probabile anche l’azione di due neurotrasmettitori, gli ormoni della dopamina e della serotonina.

Da ultimo, viene anche ipotizzata la presenza di un fattore neurotrofico cerebrale, il BDNF (Brain-derived neurothrophic factor) che influenza apprendimento e memoria.

Negli esperimenti sui topi è stato dimostrato che l’azione di alcuni batteri incrementa il BDNF.

Non si hanno prove di benefici acquisiti sugli umani dalla somministrazione di probiotici, cioè di composti che agiscono sulla composizione dei batteri intestinali.

“L’assunzione di probiotici è solo uno dei possibili approcci alla psicobiotica”, avverte Burnet.

“Dobbiamo includere farmaci come antidepressivi e antipsicotici, nonchè attività come l’esercizio fisico e l’alimentazione, per il loro benefico effetto sul microbioma intestinale”.

Ma quali sono i ceppi di batteri necessari per ottenere i benefici cercati e come agiscono?

Sono interrogativi, al momento, senza una risposta; ma gli studiosi ritengono che continuando ad indagare, con l’aiuto della tecnologia e delle risorse disponibili, anche queste domande non tardino ad avere una risposta.

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