Si tratta di un passo avanti che aiuta a ricomporre il complesso puzzle della malattia: ma una cura è ancora lontana. La scoperta si è meritata la copertina di Nature Neuroscience.
Mario Sabatelli insieme ad Adriano Chiò, sono gli autori principali della scoperta che rappresenta un grande passo avanti nella lotta alla malattia. Mario Sabatelli lavora all’Istituto di neurologia Centro Sla del Policlinico Gemelli di Roma e Adriano Chiò, al Centro Sla-Dipartimento di neuroscience Rita Levi Montalcini dell’ospedale Molinette di Torino.
Si tratta del terzo gene scoperto, spiegano i ricercatori, e contribuisce in modo determinante a delineare il disegno che descrive la malattia.
Il gene è stato chiamato ‘Matrin3’ e si trova sul cromosoma 5.
“La scoperta fornisce informazioni fondamentali per l’identificazione dei meccanismi della degenerazione dei motoneuroni e avvicina la possibilità di nuove terapie mirate, proprio grazie all’individuazione di bersagli per interventi ad hoc. Sembra ormai chiaro che l’Rna sia centrale nella genesi della malattia, dunque proprio questo potrebbe essere il bersaglio di farmaci complessi, dal nome quasi impronunciabile, che però sono una promessa contro questa patologia: penso a oligonucleotidi antisenso capaci di bloccare quei geni che producono troppe proteine”, spiega Sabatelli.
“Ma occorrerà del tempo per vedere le conseguenze pratiche di questi studi”, dice Chiò.
La ricerca ha coinvolto numerosi pazienti italiani. Fra questi determinante è stata la presenza due cugini sardi, lontani parenti. Chiò ha spiegato che “Il fatto che fossero lontani parenti ha fatto in modo che il Dna in comune fosse limitato: in questi casi infatti, funziona un po’ come con le figurine, si confronta il Dna a caccia di variazioni e somiglianze, per poi capire quale delle mutazioni individuate è importante. Ebbene, grazie alla nuova tecnologia di sequenziamento dell’intero esoma (exome sequencing), cioè della parte del Dna che codifica per le proteine, è stata rilevata un’alterazione di un gene in comune, poi confermata in altri pazienti italiani e in una grossa famiglia americana”.
“Insomma – prosegue Chiò – abbiamo fatto passi da gigante. Ma i risultati concreti contro la malattia non arriveranno a breve. Oltretutto in Italia sono pochissime le aziende biotech che lavorano su questi aspetti. Il nostro studio va avanti, in collaborazione con un gruppo americano. Ogni gene evidenziato è una nuova tessera del mosaico messa al posto giusto”.