Si sta concludendo a Roma il VI Congresso Nazionale ICAR (Italian Conference on AIDS and Retrovirus), promosso da SIMIT (Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali). Nei giorni scorsi Barbara Ensoli ricercatrice e Vice-Presidente della Commissione Nazionale AIDS del Ministero della Salute aveva parlato della possibilità che il vaccino contro l’AIDS potesse essere pronto entro il 2018, ma che per questo la ricerca doveva essere finanziata con 100 milioni di euro. Il prof. Silvestri della Emory University di Atlanta ha invece dichiarato oggi: “Non alimentiamo aspettative e speranze su test ancora da verificare”
Secondo Silvestri i dati attuali sugli studi per un vaccino contro l’hiv vanno valutati con cautela: “Credo che sia estremamente prematuro parlare di efficacia clinica per un vaccino terapeutico sulla base di dati in cui i pazienti vaccinati vengono confrontati con un gruppo di pazienti “controllo” che non erano stati né randomizzati né trattati in doppio cieco”.
Secondo Barbara Ensoli invece l’efficacia del cosiddetto vaccino italiano per l’AIDS basato sulla proteina Tat è estremamente promettente. Secondo quanto riportato da un comunicato “mentre molti scienziati definiscono questi dati incoraggianti e promettenti, altri specialisti invitano alla prudenza.”
“Abbiamo completato la fase 2 in Italia, con 168 persone, ottenendo risultati incoraggianti – aveva dichiarato Barbara Ensoli. “Stiamo terminando una fase 2 in Sudafrica, con 200 persone, dove partirà a breve la fase 3, quella finale. Circa tale vaccino terapeutico, i dati preliminari sono estremamente promettenti, ma ci vogliono ancora alcuni anni per renderlo disponibile. Quest’attesa dipende dalla mancanza di fondi, ma per fine 2018 dovremmo riuscire a registrare il vaccino nel Sudafrica, per poi procedere in Europa e in America”.
Il Prof. Silvestri invece invita ad essere molto cauti nel valutare i dati prodotti finora sul vaccino Tat.“L’idea di base è senza dubbio interessante, ed io mi congratulo con la dottoressa Barbara Ensoli, per la sua tenacia e persistenza nel perseguire questa idea. Detto questo, credo che sia estremamente prematuro parlare di efficacia clinica per un vaccino terapeutico sulla base di dati in cui i pazienti vaccinati vengono confrontati con un gruppo di pazienti “controllo” che non erano stati né randomizzati né trattati in doppio cieco. Se da un lato la scelta di fare uno studio clinico di fase II di tipo “open label” è comprensibile dal punto di vista logistico – prosegue Silvestri – poi bisogna usare moltissima cautela nell’interpretare i dati di efficacia, altrimenti si crea molta confusione. Più in generale, credo anche che sia importante evitare, per il bene dei pazienti stessi e del pubblico, di suscitare aspettative e speranze che non sono giustificate sulla base dei dati presentati finora. Questo concetto vale ancora di più per un problema scientifico di enorme complessità, come appunto lo sviluppo di un vaccino contro l’HIV. Se poi, in futuro, questo vaccino si dovesse dimostrare efficace sulla base degli appropriati studi clinici, sarò il primo a congratularmi con i suoi autori ed i colleghi”.