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Le balene dimenticate del Mediterraneo di epoca romana

Scritto da Leonardo Debbia il 02.08.2018

Dall’analisi di antiche ossa, un nuovo studio ipotizza che duemila anni fa il Mar Mediterraneo sia stato un ottimo rifugio per due specie di balene, oggi scomparse dalle nostre acque.

Le ossa fossili sono state rinvenute tra le rovine di una sorta di stabilimento romano per la lavorazione del pesce situato nei pressi di Gibilterra e fanno pensare che questi cetacei fosssero ben noti agli antichi Romani, che quasi certamente erano anche in grado di dar loro la caccia.

Veduta aerea dei serbatori di salatura dei pesci (cetaria), in particolare del tonno, siti nell'antica città romana di Baelo Claudia, vicino alla odiena Tarifa, in Spagna. Il più grande serbatoio circolare è largo 3 metri. E' probabile che queste strutture siano state utilizzate anche per la lavorazione della carne di balena (crediti: D: Bernal-Casasola, Università di Cadice)

Veduta aerea dei serbatori di salatura dei pesci (cetaria), in particolare del tonno, siti nell’antica città romana di Baelo Claudia, vicino alla odiena Tarifa, in Spagna. Il più grande serbatoio circolare è largo 3 metri. E’ probabile che queste strutture siano state utilizzate anche per la lavorazione della carne di balena (crediti: D: Bernal-Casasola, Università di Cadice)

 

Prima di questo rinvenimento, il Mediterraneo era considerato dagli studiosi di vari settori un mare assolutamente sconosciuto a questi mammiferi.

Ricercatori del Dipartimento di Archeologia dell’Università di York, Regno Unito, hanno utilizzato DNA e impronte di collagene per identificare le ossa come appartenenti a due specie di balene: la franca nordatlantica (Eubalaena glacialis) e la balena grigia (Eschrichtius robustus).

Dopo secoli di caccia, la balena franca è oggi considerata una specie in via d’estinzione, al largo delle coste nordamericane, mentre la balena grigia risulta già scomparsa dall’Atlantico e attualmente limitata al Nord Pacifico.

“Le balene sono spesso trascurate dagli studi archeologici perchè le loro ossa sono troppo frammentate”, avverte Camilla Speller, dell’Università di York, co-autrice della ricerca. “Il nostro studio mostra che queste due specie facevano parte dell’ecosistema del Mediterraneo, il cui bacino interno, ben riparato, rappresentava un luogo ideale per partorire”.

Entrambe le specie sono migratrici e il fatto di essere state rinvenute ad ovest di Gibilterra avvalora l’ipotesi di una loro presenza, sia pure limitata nel tempo, nel Mediterraneo.

Ancor oggi sono visibili le rovine di centinaia di serbatoi per la salatura del pesce, che poi i Romani esportavano in varie zone dell’Impero.

Secondo Ana Rodrigues, ecologa del Functional and Evolutionary Ecology Centre (CEFE) in Francia, ‘i Romani non avevano attrezzature adatte per la cattura delle grandi balene presenti nel Mediterraneo e tipiche di alto mare, ed è quindi presumibile che abbiano rivolto la loro attenzione alle specie più piccole che frequentavano le zone costiere, prede preferite dai pescatori dell’epoca’.

Probabilmente entrambe le specie venivano catturate usando piccole barche a remi e arpioni a mano, un metodo usato secoli dopo dai balenieri baschi medievali.

Venire a conoscenza della presenza di balene costiere nel Mare Nostrum getta una nuova luce sulle antiche fonti storiche che non citano mai espressamente questi cetacei se non come ‘pesci grassi’ o il più generico ‘mostri’.

“Ora possiamo finalmente comprendere una descrizione del primo secolo tramandataci dal naturalista romano Plinio il Vecchio, di ‘orche’ che attaccano grossi pesci e i loro piccoli appena nati nella baia di Càdice”, commenta Anne Charpentier, docente all’Università di Montpellier e co-autrice dello studio. “Non c’è corrispondenza con quanto si possa osservare oggi nelle stesse aree, ma si collega perfettamente con l’ecologia della presenza di balene franche e grigie”.

Gli autori dello studio si rivolgono ora agli storici e agli archeologi affinchè riesaminino i testi e il materiale a disposizione, alla luce della svelata presenza di queste balene costiere nel Mediterraneo d’epoca romana.

“Sembra incredibile che si possa aver dimenticato due specie di balene in una regione così ben studiata come il Mediterraneo”, riflette la dottoressa Rodrigues.

Ad ogni modo, le acque mediterranee delle balene ‘scomparse’ sono stati ora resi noti sulla rivista Proceedings of the Royal Society B, esaltando l’importanza della scoperta sia per il radicale cambiamento di un particolare antico ecosistema, sia per la pratica della caccia alla balena degli antichi romani, rimasta sconosciuta fino ad oggi.

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