Stando ad una ricerca condotta dall’University College di Londra (UCL) in collaborazione con l’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Napoli, la caldera dei Campi Flegrei, nel Sud d’Italia, potrebbe essere teatro di una probabile eruzione molto prima di quanto finora sia stato supposto, sebbene al momento si parli solo di un aumento di attività sismica locale.
Un simile periodo di irrequietezza di quest’area lo si ritrova soltanto oltre 500 anni fa, quando ci volle un secolo perché sfociasse in un’eruzione vera e propria, nel 1538.
Gli autori dello studio, pubblicato su Nature Communications, hanno utilizzato un modello del vulcano, sviluppato alla UCL, per indagare se la zona dei Campi Flegrei potesse dare qualche
indicazione di un pericolo concreto.
“Esiste una dinamica in atto, ma non sappiamo dire se si tradurrà in un’eruzione”, dichiarava qualche settimana fa all’Ansa il vulcanologo Stefano Carlino, dell’Osservatorio Vesuviano.
Il modello studiato indica tuttavia che qualora si verificasse un’eruzione, questa non dovrebbe essere molto dissimile da quella del 1538, che fu di modesta entità, molto diversa da quelle catastrofiche che 40mila anni prima avevano portato alla formazione della caldera dei Campi Flegrei.
E’ da tener presente che dagli anni Cinquanta nell’area sono stati registrati ben 20mila terremoti e il terreno si è sollevato di 4 metri.
Secondo i ricercatori, i movimenti del suolo hanno avuto un effetto cumulativo nel tempo, provocando un accumulo di energia nella crosta e rendendo ora il vulcano più pronto per un’eruzione.
‘Più pronto’, però, non significa necessariamente che sia imminente un’eruzione.
Anzi, finora si era generalmente ritenuto che l’energia necessaria per ‘stirare’ la crosta andasse dispersa dopo ogni periodo di agitazione.
Di sicuro, comunque, si sa che i movimenti del magma stanno avvenendo a 3 chilometri di profondità.
“Studiando il comportamento del terreno nella zona dei Campi Flegrei, interessato da cedimenti e bradisismi, riteniamo che sia lecito supporre di essere in una fase di avvicinamento al momento critico, in cui ulteriori sollecitazioni aumenterebbero le probabilità di un’eruzione e diviene quindi imperativo che le autorità siano di fatto preparate a questa eventualità”, ha precisato il dottor Christopher Kilburn, direttore del ‘Centro di pericolo’ dell’UCL, aggiungendo anche: “Non sappiamo, però, quale sia la soglia di criticità dell’energia accumulata”.
Il punto di rottura derivante dallo ‘stiramento’ della crosta non è facilmente prevedibile.
“Non sappiamo quando e se questo movimento porterà ad un’eruzione”, ribadisce ulteriormente Kilburn. “I Campi Flegrei stanno seguendo una tendenza che abbiamo già osservato durante i tests con il nostro modello su altri vulcani, tra cui il Rabaul in Papua Nuova Guinea, El Hierro nelle isole Canarie e il Soufriere Hills sull’isola di Monserrat, nei Caraibi.
“Ci stiamo avvicinando a previsioni di eruzioni in vulcani che sono stati tranquilli per generazioni, utilizzando modelli fisici dettagliati per capire meglio l’evoluzione degli eventi attraversati”.
L’intera area dei Campi Flegrei copre più di 100 chilometri quadrati di superficie fuori delle periferie occidentali di Napoli e la caldera appare come una gigantesca depressione, piuttosto che una montagna conica.
Un’eruzione, oggi, colpirebbe 360mila persone che vivono sulla caldera e un milione di abitanti di Napoli. Un’ecatombe impressionante, da scongiurare, ma che secondo i ricercatori non è per niente certa.
Dopo le dichiarazioni abbastanza rassicuranti del professor Kilburn, il professor Giuseppe De Natale, ex-direttore dell’Osservatorio Vesuviano, tuttavia, avverte: “I nostri risultati mostrano che dobbiamo essere preparati ad una maggiore quantità di sismicità durante un eventuale sollevamento, rispetto agli eventi critici precedenti e che dobbiamo comunque essere pronti a fronteggiare una situazione di emergenza”.