Un recente studio afferma di aver rivisitato l’equazione di Drake e di aver tratto una conclusione sorprendente: ET è già esistito, ma non è riuscito ad arrivare fino a noi. Secondo lo studio diverse sarebbero state le civiltà aliene esistite durante la lunga storia dell’universo.
“Invece di chiederci se esistono civiltà extraterrestri ora, ci siamo chiesti: ‘Siamo l’unica specie tecnologica che sia mai esistita?”, ha detto Sullivan. “Questo spostamento di attenzione elimina l’incertezza su civiltà e vita biologica e ci permette di affrontare ciò che chiamiamo ‘la domanda archeologica’: quante civiltà si sono evolute ad uno stato tecnologicamente avanzato fino ad oggi?”
Invece di cercare di indovinare le probabilità dello sviluppo di una società tecnologicamente avanzata, la nuova equazione gira intorno a questa incertezza e calcola le probabilità che l’umanità sia l’unica civiltà avanzata in tutta la storia dell’universo osservabile. Con questo, Frank Sullivan hanno poi calcolato la linea di demarcazione tra un universo in cui l’umanità è l’unico esperimento di civiltà e uno in cui sono esistiti altri prima di noi.
“Naturalmente, non abbiamo idea di quanto probabile sia che una specie intelligente si evolverà in un dato pianeta abitabile”, dice Frank. Ma con il nostro metodo siamo in grado di dire esattamente quanto sono basse le probabilità che noi siamo la sola civiltà che l’universo abbia prodotto.”
Usando questo approccio, Frank e Sullivan calcolano quanto improbabile sia che la nostra sia l’unica civiltà evoluta dell’universo, che conta dieci miliardi di miliardi di stelle, o anche nella sola nostra Via Lattea, che conta cento miliardi di stelle.
L’astronomo Frank Drake nel 1961 provò a calcolare il numero possibile di vite intelligenti nell’universo, definendo una catena di fattori per giungere alla stima. L’equazione serve infatti a stimare la probabilità che una vita aliena si possa essere sviluppata fino ad uno stato tecnologicamente avanzato in grado di poter tentare un contatto con altre civiltà nell’universo.
L’equazione richiede un lungo elenco di variabili, come il numero di stelle nell’universo, il numero di pianeti, la porzione di pianeti abitabili per stella e così via. Secondo l’Istituto SETI per la ricerca extraterrestre, l’equazione di Drake è uno strumento generalmente accettato per esaminare tutti i fattori che possono influenzare la probabilità di vita intelligente esistente altrove nell’universo.
La prima variabile nell’equazione è N, che rappresenta il numero di civiltà nella Via Lattea che producono emissioni elettromagnetiche rilevabili nello spazio. Finora, a quanto ci è dato sapere, questo numero è pari a 1, ossia noi esseri umani.
La variabile successiva, R* rappresenta il tasso di formazione delle stelle adatte alla proliferazione di civiltà tecnologicamente avanzate.
F(p), la variabile successiva, rappresenta la proporzione di queste stelle che hanno sistemi planetari come il nostro sistema solare. Questo serve a restringere ulteriormente il campo di ricerca in modo che i ricercatori possano introdurre una stima delle sole stelle con pianeti, in che raffina la stima finale.
N(e) restringe ulteriormente il campo determinando il numero di pianeti per sistema solare che hanno un ambiente che potrebbe potenzialmente ospitare la vita. Si tratta della cosiddetta “zona abitabile”, che permette all’acqua di rimanere in forma liquida e quindi permettere la vita basata sul carbonio, come la conosciamo.
F(e) si riferisce alla frazione dei pianeti idonei ad ospitare la vita effettivamente. F(i) si riferisce alla frazione di questi pianeti che hanno un un dato momento una vita intelligente, e F(c) si riferisce alla frazione di queste civiltà che hanno sviluppato la tecnologia per permettere loro di trasmettere l’informazione sulla loro esistenza ad altri, attraverso ad esempio l’emissione di onde elettromagnetiche da fonti artificiali.
Infine, L si riferisce al periodo di tempo durante il quale queste civiltà potrebbero sopravvivere. Questa variabile è molto importante se si pensa a quanto è antico l’universo, ossia oltre 13 miliardi di anni. Rispetto a questo tempo, i 100 anni o meno in cui noi produciamo emissioni elettromagnetiche sono davvero qualcosa di irrilevante. Moltiplicando le variabili insieme, gli scienziati possono risolvere N per determinare quante civiltà avanzate ci potrebbero essere in questo momento nell’universo.
Il recente studio dell’Università di Rochester modifica queste variabili sulla base di nuove ricerche in materia di esopianeti e grazie alle molte osservazioni effettuate dal telescopio spaziale Kepler e altri telescopi simili.
Nella ricerca, Adam Frank e Woodruff Sullivan offrono una nuova equazione per affrontare una domanda leggermente diversa: Qual è il numero di civiltà avanzate sviluppatesi nel corso della storia dell’universo osservabile? L’equazione di Frank e Sullivan prende spunto da quella di Drake, ma elimina la necessità di L.
La loro argomentazione si incardina sulla recente scoperta di quanti pianeti possano esistere attorno alle stelle che finora abbiamo osservato, e come molti di essi si trovino effettivamente in quella che gli scienziati chiamano “zona abitabile”. Questo permette di Frank e Sullivan di definire un numero chiamato Nast. Nast è il prodotto di R*, il numero totale di stelle, per F(p), la frazione delle stelle che formano i pianeti, e per N(e), il numero medio di tali pianeti nelle zone abitabili delle loro stelle.
Gli scianziati hanno poi espresso l’equazione in quella che loro definiscono la “Forma archeologica” del equazione di Drake, che definisce A come il “numero di specie tecnologiche che si sono sempre formate nel corso della storia dell’Universo osservabile.”
La loro equazione A = Nast * Fbt, descrive A come prodotto di Nast – il numero di pianeti abitabili in un dato volume dell’universo – moltiplicato per Fbt – la probabilità che una specie tecnologica si evolva su uno di questi pianeti. Il volume potrebbe essere considerato, per esempio, l’intero Universo, o semplicemente la nostra Galassia.
Il risultato? Applicando i nuovi dati sugli esopianeti realmente osservati in un dato volume di spazio, Frank e Sullivan trovano che la civiltà umana è (stata) l’unica nel cosmo solo se le probabilità che una civiltà si possa sviluppare su un pianeta abitabile sono meno di circa una su 10 miliardi di miliardi, ossia una su 10 alla potenza di 22.
“Una probabilità su 10 miliardi di miliardi di dollari è incredibilmente piccola”, dice Frank. “Per me, questo significa che altre specie intelligenti si sono molto probabilmente evolute prima di noi.”
Il problema è quanto a lungo una civiltà mantiene il suo status di “società tecnologicamente avanzata” prima di scomparire. Se il paragone è la nostra specie, la probabilità di metterci in contatto con ET, secondo Sullivan e Frank, è davvero piccola, se non nulla.
“L’universo ha più di 13 miliardi di anni”, ha detto Sullivan. “Ciò significa che, anche se ci sono state un migliaio di civiltà nella nostra galassia, se esse sono riuscite a sopravvivere solo fino a circa 10mila anni, ossia il tempo in cui la nostra civiltà ha impiegato per evolversi, allora esse sono già probabilmente tutte estinte. E le altre non si evolveranno se non dopo la nostra scomparsa. Per avere molte possibilità di successo nel trovare un’altra civiltà tecnologica attiva, una civiltà dovrebbe sopravvivere molto più a lungo della nostra età attuale.”
“Date le grandi distanze tra le stelle e la velocità fissa della luce potremmo non essere mai in grado di avere una conversazione con un’altra civiltà”, ha detto Frank. “Se fossero 20.000 anni luce la distanza che ci separa con una siffatta civiltà, allora ogni scambio richiederebbe 40.000 anni per andare avanti e indietro.”
Ma, come Frank e Sullivan sottolineano, anche se non ci sono altre civiltà nella nostra galassia con cui comunicare, il nuovo risultato ha ciononostante una profonda importanza scientifica e filosofica. “Dal punto di vista filosofico, la fondamentale domanda è se la vita come noi la conosciamo non sia mai avvenuta prima in nessun altro luogo'”, ha detto Frank.
Secondo Frank e Sullivan questo risultato ha anche un’applicazione pratica. Poichè l’umanità deve affrontare la crisi del cambiamento climatico e della sostenibilità della propria esistenza su questa terra, possiamo chiederci se altre specie su altri pianeti abbiano dovuto attraverso un “collo di bottiglia” simile e se hanno avuto successo. Secondo Frank: “Noi non sappiamo nemmeno se sia possibile una civiltà tecnologicamente che duri più di un paio di secoli.”