Un annuncio che sembra davvero fantascienza è arrivato da alcuni ricercatori americani, che stanno creando un nuovo tipo di cella solare progettata per auto-ripararsi, come i sistemi naturali di fotosintesi nelle piante, a partire da nanotubi di carbonio e DNA. L’obiettivo è di aumentare la durata e ridurre i costi.
“Abbiamo creato sistemi di fotosintesi artificiale utilizzando nanomateriali ottici per la raccolta di energia solare che viene convertita in energia elettrica”, ha detto Jong Hyun Choi, un professore di ingegneria meccanica presso la Purdue University.
Il progetto sfrutta le insolite proprietà elettriche di strutture chiamate nanotubi di carbonio a parete singola, usandole come “fili molecolari che raccolgono la luce nelle celle”, ha detto Choi, il cui gruppo di ricerca ha sede presso il Centro di nanotecnologia del Purdue Discovery Park.
“Credo che il nostro approccio sia molto promettente per una futura applicazione comerciale, anche se siamo ancora in una fase di ricerca di base,” ha detto.
Le celle fotoelettrochimiche convertono la luce solare in energia elettrica e usano un elettrolita – un liquido che conduce elettricità – per il trasporto di elettroni creando la corrente. Le cellule contengono coloranti che assorbono la luce, chiamati cromofori, molecole simili alla clorofilla che si degradano a causa dell’esposizione alla luce solare.
“Lo svantaggio critico di celle fotoelettrochimiche convenzionali è proprio questo degrado”, ha detto Choi.
La nuova tecnologia supera questo problema come fa la natura: sostituisce i coloranti danneggiati con dei nuovi.
“Questa sorta di auto-rigenerazione avviene nell’impianto ogni ora”, ha detto Choi.
Il nuovo concetto potrebbe rendere possibile un innovativo tipo di cella fotoelettrochimica che continua a funzionare a pieno regime a tempo indeterminato, almeno finché vengono aggiunti nuovi cromofori.
I risultati sono stati dettagliati in una presentazione di novembre durante la Mechanical Engineering International Congress and Exhibition a Vancouver. Il concetto è stato anche presentato in un articolo on-line presente sul sito web di SPIE, una società internazionale di ottica e fotonica.
I nanotubi di carbonio funzionano come una piattaforma per ancorare filamenti di DNA. Il DNA è stato progettato per avere specifiche sequenze di blocchi chiamati nucleotidi, permettendo loro di riconoscere e legarsi al cromofori.
“Il DNA riconosce le molecole di colorante, e quindi il sistema si auto-assembla spontaneamente”, ha detto Choi.
Quando i cromofori sono pronti per essere sostituiti, essi potrebbero essere rimossi tramite processi chimici o con l’aggiunta di nuovi filamenti di DNA con sequenze nucleotidiche diverseeliminando le molecole di colorante danneggiato.
Due elementi sono fondamentali per la tecnologia per imitare il meccanismo di auto-riparazione della natura: il riconoscimento molecolare e la metastabilità termodinamica, o la capacità del sistema di essere smontato e rimontato in modo coninuo.
La ricerca è un’estensione di lavoro che Choi ha collaborato con i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology e la Università dell’Illinois. Il precedente lavoro ha utilizzato i cromofori biologici prelevati da batteri, ed i risultati sono stati dettagliati in una ricerca pubblicata nel mese di novembre sulla rivista Nature Chemistry.
Tuttavia, utilizzare cromofori naturali è difficile, e devono essere raccolti e isolati dai batteri, un processo che sarebbe costoso per riprodurre su scala industriale, ha detto Choi.
“Così, invece di usare cromofori biologici, vogliamo usare quelli sintetici fatti da coloranti dette porfirine,” ha detto.