La parte orientale del continente africano si sta lentamente fratturando in blocchi tettonici di diversa grandezza lungo la grande spaccatura, nota come il sistema di rift dell’Africa orientale, estendendo la sua separazione dal continente fino al Madagascar, la grande isola a sud-est, nell’Oceano Indiano, che è destinata a spezzettarsi in isole più piccole.
Questi cambiamenti ridefiniranno i contorni dell’intera Africa e del bacino dell’Oceano Indiano.
La progressiva evoluzione di questo scenario viene illustrata in un nuovo studio della dott.ssa D.Sarah Stamps, ricercatrice presso il Dipartimento di Geoscienze del Virginia Tech College of Science, negli Stati Uniti, con un articolo sulla rivista scientifica Geology.
“La rottura è una continuazione della frantumazione del supercontinente Pangea – illustrata nella sequenza riportata – iniziata poco più di 200 milioni di anni fa, anche se – rassicura la studiosa – non sarà certo un evento che ci interesserà a breve”.
“Il tasso di rottura attuale è, difatti, dell’ordine di millimetri all’anno e quindi saranno necessari milioni di anni prima che si formino nuove isole e nuovi oceani”, soggiunge la Stamps
La maggior parte degli studi fatti finora suggeriva che l’estensione interessasse solo piccole
zone limitate intorno alle microplacche, che si muovono indipendentemente dalle placche tettoniche circostanti, che sono molto più vaste”, continua la ricercatrice.
Il nuovo set di dati GPS riguardanti i movimenti superficiali, anche modesti ma molto precisi, in Africa Orientale, Madagascar e varie isole dell’Oceano Indiano, rivelano che il processo di rottura è tuttavia più complesso e più distribuito di quanto si sia fin qui ritenuto.
Si propone quindi il risultato di uno studio congiunto di ricercatori dell’Università del Nevada-Reno, dell’ Università di Beira, in Portogallo e dell’Istituto e Osservatorio di geofisica di Antanarivo, presso la Sede dell’omonima Università, in Madagascar.
L’estensione più notevole osservata riguarda una regione larga 600 chilometri, che si estende dall’Africa orientale a intere aree del Madagascar. Più precisamente, secondo la Stamps, pare che il Madagascar sia destinato a dividersi, con una parte meridionale che si muove assieme alla microplacca di Lwandle e una parte centrale che si muove assieme alla placca somala, mentre il resto dell’isola è soggetto a deformazioni più lente.
A queste conclusioni la studiosa è giunta con l’aiuto di Tahiry Rajaonarison, un ricercatore dell’Università di Antanarivo, che ha provveduto a raccogliere i dati GPS dello studio con l’aiuto della National Geographic Society.
I nuovi dati sui movimenti superficiali e i dati geologici sono stati utilizzati per elaborare al computer nuovi modelli della regione, ridefinendo più accuratamente i limiti delle due microplacche (Lwandle e somala) e verificando se i dati potevano essere coerenti con il movimento rigido della placca.
“In questo lavoro abbiamo ridefinito l’estensione della più grande frattura continentale del mondo e il suo andamento”, dice la Stamps.
La scoperta dell’ampia zona di deformazione aiuterà i geologi sia a comprendere l’attività sismica e vulcanica recente – tuttora in corso nelle Isole Comore, collocate nell’Oceano Indiano tra l’Africa Orientale e il Madagascar – sia a fornire un quadro per studi futuri sui movimenti globali delle placche che gli scienziati vorranno continuare a studiare.