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L‘isola di Pasqua era piu abitata di quanto ritenuto finora

Scritto da Leonardo Debbia il 12.10.2017

L’Isola di Pasqua, chiamata dai nativi Rapa Nui, è stata avvolta nel mistero fin dal primo sbarco degli Europei, avvenuto nel 1722, il giorno di Pasqua (da cui il nome dato all’isola).
Secondo una stima sommaria fatta dai primi visitatori, la popolazione si aggirava allora intorno ai 1500-3000 individui, un numero che appariva nettamente in disaccordo con la presenza delle circa 900 teste gigantesche (moai) erette sulle spiagge dell’isola.

“Come avrebbe potuto un numero così esiguo di indigeni costruire, trasportare ed erigere queste monumentali figure di pietra?”, fu il primo interrogativo ad essere posto, con la certezza di trovarsi di fronte ad un enigma di non facile interpretazione.

Nel corso dei secoli che seguirono, i tentativi di conciliare i termini della questione furono vari ma una stima soddisfacente sulla consistenza della popolazione effettiva non fu mai concorde.
Un nuovo studio, pubblicato nella rivista Frontiers in Ecology and Evolution, tenta ora di dare una spiegazione, partendo dall’analisi del potenziale agricolo dell’isola e prendendo in considerazione la stima più idonea del massimo numero di persone cui l’isola avrebbe potuto ospitare in passato.

“Nonostante il suo isolamento quasi completo, in mezzo all’Oceano Pacifico, gli abitanti dell’isola si dettero una complessa struttura sociale, riuscendo ad erigere le colossali ‘teste di pietra’ prima che avvenisse uno sconvolgente cambiamento dell’ambiente”, afferma il dott. Cedric Puleston, antropologo dell’Università della California, Davis, nonchè autore principale di questo studio. “Abbiamo cercato di risolvere un tassello del puzzle per capire le dimensioni massime della popolazione prima del declino, ipotizzando che l’isola, nelle migliori condizioni di abitabilità, avrebbe potuto sostenere un massimo di 17.500 persone, che rappresenta il top della gamma delle stime fatte finora”.

“Se la popolazione è scesa da 17.500 individui al piccolo numero che i missionari europei hanno stimato, al primo contatto” – aggiunge lo studioso – “si suppone che l’isola abbia subito un drastico cambiamento, con un calo della popolazione giunto a 3000 o anche meno individui, come è stato riferito”.

La storia della popolazione dell’isola rimane altamente controversa.
Oltre ai conflitti interni tra tribù, la diminuzione della popolazione è stata attribuita ad un ‘ecocidio’, una distruzione dell’ambiente naturale – le cui origini sono tutte da verificare – ma per effetto del quale le risorse dell’isola si sarebbero esaurite per opera dei suoi stessi abitanti e si sarebbe così ridotta sempre più la sua capacità di ospitare gruppi umani più numerosi.

Puleston ed il suo team hanno dato inizio ad un progetto per esaminare il potenziale agricolo dell’isola prima di questi eventi, calcolando quanta gente avrebbe potuto mantenersi sull’isola con queste risorse.

Il progetto, finanziato dalla US National Science Foundation, ha coinvolto diversi ricercatori tra cui archeologi, un esperto locale della cultura di Rapa Nui, un geologo, un biogeochimico e un biologo della popolazione.

Si è studiata l’isola, immaginandola come poteva apparire prima del contatto con gli Europei.
“Abbiamo esaminato mappe dettagliate, prelevato campioni di terreno attorno all’isola, preso letture da sei stazioni meteorologiche, utilizzato modelli di popolazione e stimato la produzione di patata dolce.”.
Si è così scoperto che il 19 per cento del territorio dell’isola avrebbe potuto essere stato coltivato a patate dolci, la principale coltura alimentare.

Utilizzando informazioni sui tassi di natalità e di mortalità nelle varie epoche in funzione della disponibilità di cibo, i ricercatori hanno calcolato la dimensione della popolazione che il livello di produzione abbia potuto sostenere.
“Se confrontiamo le nostre stime sull’agricoltura con altre isole della Polinesia”, dice Puleston, “una popolazione di 17.500 nativi è del tutto compatibile con le dimensioni dell’isola.

“L’Isola di Pasqua è affascinante perché rappresenta un esempio estremo di un esperimento della natura nell’adattamento umano, che inizia quando un unico gruppo culturale si diffonde rapidamente attraverso le isole del Pacifico. I diversi ambienti che si sono succeduti su queste isole hanno generato una enorme quantità di variazione anche nel comportamento umano”.

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