Gli scienziati dell’Università di Liverpool hanno dimostrato che le zone di faglia proprie delle profondità marine del nostro pianeta potevano far giungere quantità d’acqua molto più grandi di quanto si pensasse dagli oceani terrestri al mantello superiore della Terra.
Da tempo si è a conoscenza che l’acqua giunge a contatto col mantello superiore penetrando attraverso le placche oceaniche nelle zone di subduzione della crosta, dove questa forma una piega, immergendosi nell’interno della Terra.
La subduzione della crosta terrestre provoca notevoli terremoti, come quello recente di Tohoku, così come molti altri che si verificano centinaia di chilometri sotto la crosta terrestre.
I sismologi di Liverpool hanno stimato che dalla formazione della Terra, la zona di subduzione che interessa il Giappone avrebbe fatto penetrare fino al mantello – limitatamente a quell’area – una quantità d’acqua equivalente a più di tre volte la quantità d’acqua degli oceani terrestri.
Utilizzando tecniche di modellazione sismica, i ricercatori hanno analizzato i terremoti che si sono verificati più di 100 chilometri sotto la superficie terrestre lungo i cosiddetti ‘piani di Benioff’, una sorta di superfici piane, inclinate da 30° a 60° verso i continenti, dove si identifica un insieme di focolai sismici. Questi piani sono interpretati come luoghi di inghiottimento della crosta oceanica che sprofonda nel mantello.
L’analisi delle onde sismiche provenienti da questi terremoti dimostra che sono avvenuti su zone di faglia di larghezza pari a 1-2 chilometri, con basse velocità sismiche. In queste zone di faglia le onde sismiche viaggiano più lentamente che nel resto della placca in subduzione, perché l’acqua di mare che attraversa le faglie produce reazioni chimiche con le rocce oceaniche dando luogo – tra le altre – alla serpentinite, un minerale che contiene acqua.
Parte dell’acqua che arriva al mantello da queste zone di faglia idratate viene poi rilasciata e va a riscaldare la placca tettonica.
L’acqua favorisce la fusione del materiale del mantello, originando vulcani immediatamente al di sopra della zona di subduzione, come quelli che si trovano lungo la ‘cintura di fuoco’ dell’Oceano Pacifico.
Un’altra parte di quest’acqua penetra ancora più in profondità nel mantello e viene immagazzinata nelle profondità della Terra.
“E’ noto da tempo che le placche in subduzione fanno affluire acqua oceanica nel mantello”, conferma Tom Garth, ricercatore e sismologo del team del professor Andreas Rietbrock. “Quest’acqua provoca la fusione del mantello, mentre una percentuale si disperde nell’atmosfera. Parte dell’acqua subdotta viene quindi ad accedere nelle profondità del mantello e può essere immagazzinata lì”.
“Abbiamo trovato che le zone di faglia che si formano nelle fosse oceaniche profonde in mare aperto al largo delle coste giapponesi sono localizzate ad una profondità di 150 chilometri.
Queste zone di faglie idrate possono permettere l’accesso di grandi quantità d’acqua, suggerendo che nelle zone di subduzione transiti molta più acqua dall’oceano verso il mantello di quanto sia stato finora supposto.
“Questa ipotesi sostiene la teoria che esistano grandi quantità d’acqua immagazzinata nelle profondità della Terra, sotto i nostri piedi”.
Comprendere quanta acqua viene in contatto con il mantello contribuisce alla conoscenza di come questo possa fondere e si possano formare le correnti convettive interne, che costituiscono i motori della tettonica delle placche, i cui movimenti hanno consentito l’origine della crosta terrestre continentale.