Da dove viene tutta la neve che cade, specialmente in luoghi incontaminati come l’Artico?
Raymod Shaw, un fisico della Michigan Technological University, e i suoi colleghi provano a rispondere.
Premettendo che la neve non si materializza dal nulla, quelle stranissime e delicate strutture che sono i cristalli di ghiaccio a sei punte, per potersi formare, hanno bisogno di un nucleo, una particella, un granello di polvere, a cui le molecole d’acqua possano aggrapparsi e costruire la loro struttura, mentre congelano.
Riferendosi alla loro funzione, questi nuclei sono chiamati anche germi cristallini.
Sono particelle microscopiche presenti nell’atmosfera, di varia natura e di provenienza ignota: polveri desertiche – si ipotizza – o di particolari terreni.
Eppure sopra l’Artico, dove l’aria è molto pulita e il mare è coperto di ghiaccio, a volte nevica copiosamente e per lungo tempo.
“Nel giro di poche ore, l’atmosfera viene ripulita in pratica di tutte queste particelle”, dice Shaw. “Come può quindi nevicare per giorni e giorni?”.
Cristallo di neve al microscopio a scansione
(fonte: Wikipedia)
Per tentare di rispondere alla domanda, Shaw e colleghi hanno sviluppato un modello matematico per descrivere come si formano i cristalli di ghiaccio, come crescono e come cadono e hanno iniziato utilizzando i dati sulle nuvole artiche, che erano quelle più studiate.
Gli scienziati speravano che studiando la modalità di formazione della neve, avrebbero scoperto la chiave del mistero.
La prima osservazione è stata sorprendente: i cristalli di neve aumentano di massa a ritmo veloce, con un coefficiente di 2,5.
“Inizialmente, eravamo convinti che se il numero di cristalli triplicava, anche la loro massa sarebbe dovuta triplicare”, dice Shaw. “Invece, risulta che il rapporto è molto più grande”.
Se, ad esempio, il numero dei cristalli triplica, la massa aumenta di un fattore pari a 16 volte.
In concreto, più cristalli ci sono, più le dimensioni sono grandi.
Il modello di Shaw presuppone che i cristalli di ghiaccio si vadano formando su particelle atmosferiche che in precedenza erano inefficienti per la formazione di cristalli di ghiaccio.
“Il presupposto fondamentale da cui siamo partiti è che ci sia una fonte nascosta di nuclei di ghiaccio che è sempre lì, ma che ha una efficienza quasi nulla”, afferma Shaw.
“L’opinione generale nella comunità scientifica è che ci sia bisogno di particelle particolari di polvere per catalizzare la formazione del ghiaccio. Ma quanto ghiaccio si sarebbe formato se il tempo di permanenza in aria fosse stato maggiore? Una singola goccia d’acqua non congela immediatamente, ma se il tempo si prolunga di un’ora o due, può accadere. Il nostro modello presuppone che l’atmosfera sia piena di nuclei inefficienti”.
Questi nuclei ‘inefficienti’ sono alla base dei grandi cristalli presenti durante abbondanti nevicate.
“La massa di un cristallo di ghiaccio è legata al suo tempo di crescita”, dice Shaw. “Più a lungo rimane nella nuvola, più grande diventa”.
Così, in presenza di una corrente ascensionale che mantiene i cristalli in aria, impedendo ai fiocchi di cadere, i cristalli che si formano sulle particelle diventano più grandi.
Durante questo lasso di tempo molti altri fiocchi di neve hanno la possibilità di generare nuclei deboli. Alla fine, tutti i cristalli di neve sono troppo pesanti e precipitano verso terra.
Questo modello è in accordo anche con i dati raccolti dalle nuvole artiche. Gli scienziati non sanno cosa siano esattamente questi nuclei deboli, ma Shaw dichiara: “Questa previsione matematica si accorda con i dati sperimentali. Ci sono quindi prove indirette dell’esistenza di questi nuclei e questo è già un passo verso la soluzione del mistero”.