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Chi si è evoluto per primo, la mano o il piede?

Scienziati giapponesi fanno luce su un interrogativo che da lungo tempo ci si poneva sull’evoluzione umana

Scritto da Leonardo Debbia il 12.10.2013

Una nuova ricerca del RINKEN Brain Science Institute di Tokyo, specializzato soprattutto nel campo delle neuroscienze, ha risposto ad un interrogativo che da lungo tempo ci si poneva sull’evoluzione umana, affermando che i primi ominidi svilupparono l’abilità delle dita e la capacità di usare uno strumento ancor prima dello sviluppo della locomozione bipede. 

mano-piede-evoluzione

Forma della mano e del piede in due specie di primati. Le dita delle mani vengono mosse in modo indipendente (colori diversi) nella corteccia somatosensoriale. Per contro, le rappresentazioni dei movimenti delle dita dei piedi risultano alquanto omogenee, con l’eccezione dell’alluce nell’uomo (fonte: RIKEN / ScienceDaily).

Mettendo a confronto la scimmia e il comportamento umano, sia attraverso l’imaging cerebrale, ossia le varie metodologie d’indagine non invasive, quali la risonanza magnetica funzionale o la tomografia a positroni, sia attraverso le prove fossili, il team di ricerca, guidato dal neurobiologo Atsushi Iriki e da Gen Suwa, antropologo del Museo dell’Università di Tokyo, ha ribaltato il presupposto comune secondo cui la manualità si sarebbe evoluta dopo lo sviluppo della locomozione bipede, consentendo agli ominidi di avere mani provviste di dita indipendenti, adatte alla manipolazione degli oggetti.

In uno studio, pubblicato su Philosophical Transactions of the Royal Society, i ricercatori hanno impiegato la risonanza magnetica funzionale sull’uomo e la registrazione elettrica sulle scimmie per localizzare le aree cerebrali deputate alla consapevolezza del tocco nelle singole dita dei piedi e delle mani, realizzando così una mappatura somatotonica, così chiamata in base alla corrispondenza esistente tra ogni punto del corpo con un punto specifico del cervello e, più propriamente, della corteccia somatosensoriale primaria.

I ricercatori hanno confermato i precedenti studi che mostrano che ogni singolo dito della mano e del piede ha una posizione neurale separata; carattere che è presente sia negli uomini che nelle scimmie.

I due scienziati hanno trovato, inoltre, nuove prove fossili che confermano che gli alluci dei piedi delle scimmie poggiano su un unico piano assieme alle altre dita, mentre le dita del piede

umano, pur poggiando su un unico piano, presentano l’eccezione dell’alluce, che è ben rilevato, con un proprio piano di appoggio, in posizione divergente e opponibile; caratteristica assente nelle scimmie.

Questi risultati suggeriscono che i primi ominidi svilupparono dita abili e indipendenti ancor prima di avere assunto la stazione eretta.

La destrezza manuale non si sviluppò ulteriormente nelle scimmie, mentre gli esseri umani assumevano controllo e mobilità delle dita delle mani; e un grosso alluce, che li avrebbe aiutati nella locomozione bipede.

“Nei primi ominidi non ancora specializzati, il controllo e l’uso delle dita della mano come strumenti erano già possibili, mentre l’adattamento indipendente delle dita de piede e l’uso del grosso alluce per funzioni quali l’equilibrio e la deambulazione si sono verificati solo dopo, con l’avvento del bipedismo”, spiegano gli autori.

Lo studio del cervello è stato supportato dall’analisi di una mano ben conservata e delle ossa dei piedi appartenenti ad uno scheletro di ominide di 4,4 milioni di anni, un Ardipithecus ramidus, una specie con mani abili che anticipò la linea di divisione uomo-scimmia.

L’evoluzione parallela della locomozione bipede e la destrezza delle mani e delle dita nella linea evolutiva umana degli individui primitivi con postura non ancora eretta è stata probabilmente una conseguenza della pressione selettiva per controllare il bilanciamento delle dita del piede, pur mantenendo la capacità di specializzazione dell’alluce.

“Si riteneva che l’evoluzione non potesse essere studiata in laboratorio”, ha dichiarato Iriki, “ma l’utilizzazione della fisiologia comparata del cervello per decifrare le tracce ancestrali dell’adattamento può consentire di rivedere le teorie di Darwin”.

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