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Comportamento da ingegnosi speleologi degli uomini dell’Età della pietra  

Scritto da Leonardo Debbia il 23.06.2019

Durante la Tarda Età della pietra, alcuni esseri umani, forse spinti dalla curiosità o forse dal bisogno, e comunque armati di solo coraggio – una sorta di speleologi ante litteram – sono riusciti a penetrare all’ interno di un sistema di grotte italiane, strisciando sul loro pavimento fangoso, proprio come avrebbe fatto un bambino; ‘gattonando’, come si usa anche dire.

Lo riporta uno studio messo in rete di recente dalla rivista eLife.

Una sala delle grotte di Toirano, Liguria occidentale

Una sala delle grotte di Toirano, Liguria occidentale

La grotta che testimonia questa incursione è quella di Toirano, un paese in provincia di Savona, e le sue tracce fossili, sia umane che animali, sono note fino dagli anni Cinquanta, grazie ai primi studi condotti sul sito da Virginia Chiappella (1905-1988), un’archeologa ligure, purtroppo a lungo dimenticata e solo recentemente ricordata dalle autorità locali per i suoi numerosi studi sugli insediamenti protoliguri della zona.

Nello studio realizzato oggi, a seguito di una promozione dell’Ufficio patrimonio archeologico della Liguria, un team internazionale, composto, oltre a ricercatori italiani, da studiosi provenienti da Argentina e Sud Africa, ha posto in essere svariati tentativi di esame delle tracce di un’ancestrale intrusione umana; tracce riconosciute per la prima volta come impronte di antichi movimenti lasciate da corpi che avrebbero strisciato nel fango e risalenti a circa 14mila anni fa.

“Con questo nostro studio volevamo appurare in qual modo antichi esseri umani fossero riusciti ad esplorare questo affascinante sistema di grotte”, dice il prof. Marco Romano, docente presso l’Università di Witwatersrand, in Sud Africa, nonché primo autore della ricerca. “Scendendo poi nei dettagli, il nostro obiettivo era riuscire anche a scoprire quanti fossero stati gli individui entrati nella grotta, se si fossero mossi individualmente o in gruppo, che età avessero avuto e il tipo di percorso seguito, una volta superato l’accesso”.

Per rispondere a tutte queste domande, il team multidisciplinare ha studiato qualcosa come 180 tracce all’interno della grotta, con particolare attenzione alle impronte dei piedi sul pavimento argilloso, applicando i più moderni metodi di datazione, tra cui un software che analizza la struttura delle tracce e i diversi tipi di modellazione in 3D.

“Nell’insieme, questi mezzi ci hanno consentito di ricomporre una narrazione su come gli esseri umani fossero stati in grado di entrare e uscire dalla grotta e le attività svolte al suo interno”, spiega Romano.

Gli studiosi hanno accertato che cinque individui – due adulti, un adolescente di circa 11 anni e due bambini, rispettivamente di tre e sei anni – erano entrati nella caverna, facendosi strada con l’aiuto di bastoni di legno. Queste presenze dimostrano che, durante la Tarda Età della pietra, i bambini erano membri attivi di un gruppo, anche nello svolgimento di attività potenzialmente pericolose.

Sono state così individuate le prime prove di gattonamento, orme impresse nel fango di un tunnel angusto che costituiva l’ unico accesso alla parte interna della grotta. I dettagli anatomici delle impronte fanno ritenere che questi primi esploratori abbiano effettuato il percorso a gambe nude.

Analizzando poi le varie impronte di mani, gli archeologi hanno scoperto che alcune di esse appaiono ‘non intenzionali’, da riferirsi piuttosto ad una esplorazione della caverna; mentre altre appaiono più ‘intenzionali’, suggerendo quindi che nei recessi più profondi della grotta si fossero praticate attività sociali o simboliche.

“Durante l’esplorazione, i cacciatori-raccoglitori avrebbero potuto quindi essere stati guidati anche da attività divertenti, come semplicemente la ricerca di cibo”, aggiunge Romano.

“Nell’insieme, i nostri risultati mostrano vari approcci allo studio di tracce dei nostri antenati che, più in generale, possono fornire approfondimenti dettagliati del loro comportamento”, conclude il prof. Marco Avanzini, responsabile del Dipartimento di Geologia del MUSE – Museo delle Scienze di Trento, in Italia, autore senior della ricerca. “Ci auguriamo che il nostro approccio sia utile per confrontare il comportamento di altri esseri umani in altre parti del mondo, in diverse epoche della nostra preistoria”.

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