Secondo uno studio congiunto condotto dai ricercatori della Penn State University e della Kent State University, Lucy e gli altri ominidi appartenenti alle prime specie di Australopithecus afarensis, per quel che riguarda la differenza di dimensioni tra maschi e femmine, non dovevano essere, probabilmente, molto diversi dagli esseri umani moderni.
“Finora, nel mondo scientifico era opinione comune che nella popolazione degli Australopiteci esistesse un elevato grado di dimorfismo”, dice Philip Reno, antropologo alla Penn State. “Si riteneva che i maschi fossero molto più grandi delle femmine”.
Due femori a confronto: sulla sinistra un esemplare grande, presumibilmente di sesso maschile (crediti: Phil Reno / Penn State)
Il dimorfismo sessuale si basa sulle differenze tra maschi e femmine di una stessa specie, in particolare per quanto riguardo la statura, il peso o anche la dimensione dei denti canini.
Ora, se è pur vero che le dimensioni dei canini dell’Australopithecus erano state trovate pressappoco identiche nei due sessi, si presumeva invece che le differenze corporee fossero alquanto marcate.
Altri primati, d’altronde, presentano un’ampia gamma di dimorfismo sessuale. Nei gorilla le differenze hanno valori notevoli: i maschi giungono a pesare circa 90 chilogrammi più delle femmine, mentre tra gli scimpanzé, i maschi sono mediamente soltanto 8 chilogrammi più delle femmine.
La differenza tra le due specie è, come si vede, ragguardevole.
Anche tra gli esseri umani è moderatamente presente un certo dimorfismo, pur se non generalizzabile.
Finora, gli antropologi ritenevano che tra gli Australopitecidi questo dimorfismo sessuale si manifestasse molto evidente e, per qualche studioso, fosse addirittura più accentuato che nei gorilla.
Ora, Lucy è probabilmente l’esempio più famoso di A.afarensis, una ‘presunta’ femmina che misurava poco più di un metro di altezza.
Tuttavia, gli afarensis esistevano molto prima che il cervello della linea evolutiva che andava in direzione ‘umana’ diventasse abbastanza grande da richiedere un cambiamento della struttura pelvica tale da consentire la nascita di bambini con una testa proporzionata; cambiamento che avrebbe reso un buon servizio ai futuri antropologi, facilitando loro il riconoscimento delle femmine.
“Non c’è motivo per cui Lucy, qualora fosse stata femmina, avrebbe dovuto avere l’osso pelvico più ampio, simile alla femmina umana”, afferma Reno. “Diciamo pure che, in realtà, non possiamo stabilire con sicurezza il sesso degli Australopitechi”.
Maschio o femmina che sia stata, Lucy rimane comunque l’esempio più antico e meglio conservato di afarensis e come tale è stato utilizzato quale modello per lo studio degli altri esemplari.
Nel 2005, nella regione di Afar, in Etiopia, venne scoperto un altro afarensis abbastanza intatto, cui fu dato il nome di ‘Kadanuumuu’, che nella lingua locale equivale a ‘Big Man’, grande uomo. L’individuo era infatti più alto di Lucy (un metro e cinquanta circa) e più vecchio di 400mila anni.
Reno e C. Owen Lovejoy, professore di studi evolutivi umani alla Kent State, hanno confrontato le ossa di Lucy e le ossa di Kadanuumuu con resti parziali di altri afarensis.
Per determinare il rapporto esistente tra questi fossili e Lucy, i due studiosi hanno dovuto calcolare le dimensioni relative di questi individui da scheletri incompleti, traendo qualche conclusione.
“La varietà presenta livelli moderatamente intermedi di dimorfismo sessuale e questi livelli dell’afarensis sono tutti compatibili con la varietà degli esseri umani”, dichiara Reno.
Una considerazione da tener presente, nel confronto dei vari scheletri di afarensis, è che gli individui esaminati potrebbero essere vissuti in epoche temporali molto diverse, intervallate da distanze oscillanti dai10mila ai 100mila anni. Non si può escludere che durante intervalli di tempo così lunghi la dimensione complessiva della specie potrebbe aver subito cambiamenti.
Secondo i due ricercatori, l’intervallo di tempo è da considerarsi un’importante variabile.
Dato che Lucy fu il primo afarensis ad essere scoperto, era facile ritenere che potesse essere un tipico rappresentante della specie, ma ora sembra che Lucy possa considerarsi al limite inferiore delle dimensioni dell’afarensis e che Kadanuumuu possa essere un valore anomalo del limite superiore della varietà, con molti campioni di dimensioni intermedie tra i due, a detta di Reno.
Il risultato della ricerca è stato riportato sulla rivista PeerJ del 28 aprile scorso.