Secondo quanto pubblicato il 4 marzo scorso dalla rivista Science, una mandibola fossile, trovata durante una ricerca nell’area di Ledi-Geraru, nello stato di Afar, in Etiopia, induce a retrodatare nel tempo la prova più antica in assoluto della comparsa del genere Homo sulla Terra, portandola a 2,8 milioni di anni fa.
Questa mascella ha 400mila anni in più dei fossili finora conosciuti appartenenti al genere Homo, ed è stata scoperta nel 2013 da un team internazionale guidato dagli scienziati Kaye E. Reed, Christopher J. Campisano e J.Ramòn Arrowsmith, dell’Arizona State University (ASU) assieme a Brian A.Villmoare, della University of Nevada, Las Vegas.
Per decenni gli scienziati hanno cercato fossili che potessero documentare le prime tracce della comparsa del genere Homo, ma gli esemplari recuperati e datati nell’intervallo di tempo tra i 3 e i 2,5 milioni di anni fa sono stati pochissimi e mal conservati.
Come risultato, gli studiosi non hanno mai trovato un accordo sul periodo in cui ebbe origine il lignaggio umano che ha prodotto gli esseri umani moderni.
Con la nuova assegnazione a 2,8 milioni di anni, considerando le modifiche della mascella e dei denti, il fossile di Ledi-Geraru fornisce sufficienti indizi perché lo si possa ritenere come appartenente al genere Homo, la cui comparsa viene così ad accorciare le distanze, portandole a soli 200mila anni, dall’esistenza dell’Australopithecus afarensis (cioè, ‘Lucy’) nel vicino sito etiope di Hadar.
Rinvenuto da Chalachew Seyoum, ricercatore del team dell’ASU, il fossile di Ledi-Geraru consiste della parte sinistra di una mandibola e di cinque denti.
Le analisi fossili, condotte da Villmoare e William H. Kimbel, quest’ultimo direttore dell’Institute of Human Origins presso l’ASU, hanno messo in luce caratteristiche avanzate, come i molari sottili, i premolari simmetrici e la mascella uniformemente proporzionata; tutti caratteri distintivi del genere Homo, la cui specie più vicina all’età del reperto di Ledi fu Homo habilis (2 milioni di anni fa), rispetto al più scimmiesco, nonché più antico, Australopithecus.
L’inclinazione del mento, dall’aspetto sfuggente, collega invece il fossile ad un antenato dai caratteri australopitecidi, somigliante a ‘Lucy’.
“Nonostante le molte ricerche, i fossili di Homo di età più antica di 2 milioni di anni fa sono molto rari”, conferma Villmoare.
In un servizio sulla rivista Nature, Fred Spoor, docente di Anatomia e Paleontologia dei mammiferi all’ University College London, presenta una nuova ricostruzione della mandibola
deformata, datata 1,8 milioni di anni, attribuita al rappresentante tipico della specie Homo habilis rinvenuto ad Olduvai Gorge (Tanzania), che si collega molto al fossile di Ledi.
“La mascella di Ledi riduce molto l’intervallo evolutivo tra Australopithecus e Homo”, constata Kimbel. “E’ un ottimo caso di ‘fossile di transizione’ di un periodo di tempo alquanto critico nell’evoluzione umana”.
Il cambiamento climatico che portò verso una maggiore aridità in Africa attorno ai 2,8 milioni di anni fa è stato spesso chiamato in causa per aver favorito la comparsa e la scomparsa di specie animali, tra cui potrebbe includersi la nascita del genere Homo.
Forse non è un caso che altri studiosi abbiano riscontrato un avvicendamento nelle popolazioni dei mammiferi coeve con la mascella di Ledi e coerenti con un habitat caratterizzato da erbe e vegetazione bassa rispetto all’ habitat forestale in cui avevano vissuto gli australopitechi, come il sito di Hadar, che aveva ospitato Lucy .
“Possiamo constatare che l’aridità climatica di 2,8 milioni di anni fa è conciliabile con la comunità faunistica di Ledi-Geraru”, afferma Kaye Reed, co-autore del team di ricerca. “ma è ancora troppo presto per affermare che il cambiamento climatico sia stato il responsabile dell’origine di Homo. Per tirare le conclusioni è necessario trovare qualche altro fossile di ominide. Ed è per questo che la ricerca deve proseguire”.