Gli scienziati sanno da tempo che Terra e Mercurio hanno nuclei metallici ma, fino ad oggi, supponevano che, come la Terra, il nucleo di Mercurio si suddividesse in un nucleo esterno di metallo liquido e un nucleo più interno che, analogamente a quello terrestre, fosse allo stato solido.
Questo – come detto – era finora stato soltanto ipotizzato.
Alcuni studiosi, estremamente cauti, si erano dichiarati persino dubbiosi, riguardo Mercurio, sulla reale esistenza di un nucleo interno solido.
Ora, in un recente studio, gli scienziati affermano di avere le prove che i nuclei di Mercurio siano realmente due e quello più interno – che si avvicina alle dimensioni del nucleo interno della Terra – sia veramente allo stato solido.
Alcuni scienziati paragonano Mercurio ad una palla di cannone perchè il suo nucleo metallico occupa per intero quasi l’85 per cento del volume del pianeta; e con queste dimensioni, che sono veramente enormi rispetto agli altri pianeti rocciosi del nostro sistema solare, ha costituito finora uno dei misteri più intriganti del piccolo pianeta.
Nuovo modello dell’interno del pianeta Mercurio, secondo un nuovo studio (crediti: Antonio Genova)
Gli studi e i relativi risultati sul nucleo interno di Mercurio, resi noti dalla rivista Geophysical Research Letters, aiuteranno gli scienziati a comprendere meglio il pianeta, offrendo anche indizi sulla formazione del sistema solare e sull’evoluzione dei pianeti rocciosi nel tempo.
“L’interno di Mercurio è ancora attivo, a causa del nucleo fuso che alimenta il debole campo magnetico del pianeta, rispetto a quello terrestre”, dice Antonio Genova, docente dell’Università La Sapienza di Roma, che ha condotto la ricerca al Goddard Space Flighter Center della NASA, nel Maryland. “L’interno di Mercurio si è raffreddato più rapidamente di quello del nostro pianeta e il suo esame ci aiuterà a prevedere come cambierà il campo magnetico terrestre mentre il nucleo si va raffreddando”.
Per capire la composizione chimica del nucleo interno di Mercurio, Genova e i suoi colleghi sono ricorsi, ovviamente, a metodi escusivamente deduttivi.
Il team ha utilizzato le diverse osservazioni della missione Messenger della NASA, studiando, soprattutto, la rotazione e la gravità del pianeta.
La sonda spaziale Messenger era entrata in orbita attorno a Mercurio nel marzo del 2011 e aveva effettuato osservazioni per quattro anni, finchè non è stata deliberatamente fatta precipitare sulla superficie del pianeta nell’aprile del 2015.
Gli scienziati si sono serviti delle osservazioni radio di Messenger per determinare le anomalie gravitazionali di Mercurio – le aree, cioè, in cui erano stati registrati aumenti e decrementi locali della massa – e la posizione del suo polo rotazionale; elementi essenziali che hanno consentito di comprendere l’orientamento del pianeta.
Ogni pianeta ha, infatti, un asse di rotazione, individuato sulla superficie in corrispondenza dei due poli (Nord e Sud).
Attorno a questo asse, Mercurio ruota più lentamente della Terra, con una giornata assai più lunga, pari a 58 giorni terrestri.
Spesso gli scienziati, ricorrendo alla meccanica, usano piccole variazioni dello spin, o rotazione di un corpo su se stesso, per carpire indizi sulla struttura interna del corpo.
Nel 2007, le osservazioni radar effettuate dalla Terra avevano rivelato piccoli cambiamenti nello spin di Mercurio, chiamate librazioni, facendo supporre che parte del nucleo del pianeta potesse essere di metallo allo stato fuso.
Le osservazioni della velocità di rotazione non erano tuttavia sufficienti, di per sé, a dimostrare la composizione del nucleo interno.
‘Analogamente alla Terra, potrebbe esserci un nucleo solido più interno’, dubitavano gli scienziati.
La gravità, però, poteva aiutare a rispondere a questa domanda.
“La gravità è un valido strumento per guardare in profondità all’interno di un pianeta, perchè è in stretta relazione con la struttura della densità del pianeta”, dice Sander Goossens, ricercatore della NASA allo Space Goddard Center e co-autore del nuovo studio.
Mentre Messenger si avvicinava sempre più alla superficie di Mercurio, orbitando a circa 120 miglia e scendendo gradualmente fino a meno di 65 miglia nel corso dell’ultimo anno, le misurazioni sulla struttura interna del pianeta venivano ad essere sempre più accurate e definivano sempre più il quadro.
Aiutati da un sofisticato programma dei computer di bordo, gli scienziati hanno così compreso qualcosa in più sulla composizione interna che Mercurio doveva necessariamente avere per poter spiegare il suo adattamento al modo in cui ruotava e al modo in cui la sonda accelerava attorno ad esso.
Per la migliore corrispondenza con i dati ottenuti, si è riusciti quindi a ‘ricostruire’ un modello in cui Mercurio mostra giocoforza un nucleo esterno liquido che ne avvolge uno più interno allo stato solido, di larghezza pari a 2000 chilometri (circa la metà dell’intero nucleo), stimando la sua composizione prevalente in ferro.
“Per giungere a queste conclusioni abbiamo attinto a molti campi: geodesia, chimica, meccanica orbitale e gravità”, spiega Erwan Mazarico, altro co-autore dello studio, dimostrando che l’interdisciplinarietà delle scienze è una necessità troppo spesso imprescindibile.