Il romanzo “L’orco in canonica”, opera prima del noto giurista Paolo Cendon, pubblicato da Marsilio, mi è piaciuto, anche se a un certo punto della lettura avevo deciso di lasciarlo lì e smettere di leggere. Ciò che vi si narrava mi faceva troppo male.
Poi però ho dovuto continuare per capire come andava a finire, cosa e come i nodi si sarebbero sciolti e questo appunto vuol dire che come romanzo “L’orco in canonica” mi è davvero piaciuto.
Il romanzo, che è basato su una storia vera, tratta infatti degli abusi che una bambina di 8 anni ha subito per cinque anni ad opera di un prete, il prete del catechismo, appunto l’orco in canonica.
Le prime tre parti del romanzo narrano di questo periodo ed è verso la fine di queste parti che mi sono detta che era difficile continuare a leggere. Ma ho proseguito e ho fatto bene, perché il resto che pure è doloroso è una storia di rinascita, in questo “L’orco in canonica” è un libro natalizio (e non solo in questo, come il lettore potrà appurare).
Una rinascita difficile che passa attraverso tanto dolore, attraverso una rimozione e dunque un recupero della memoria e attraverso un processo, lungo che si concluderà con la condanna, solo civile, del prete. Che invece è stato assolto dal diritto canonico e infatti è ancora oggi prete.
La parte sugli abusi è scritta in modo memorabile. Davvero sono i capitoli stilisticamente e letterariamente più riusciti. Nella parte più difficile Paolo Cendon è riuscito a raccontare senza intervenire in modo palese, ha lasciato che i fatti si narrassero da soli. Apparentemente. Perché lo studio sui termini, le frasi, i modi in cui scrivere tali vicende deve essere stato lungo e la scelta di ogni parola pesata e difficile. Senza dunque orpelli, né alcuna sbavatura Paolo Cendon ha narrato i fatti, con una rara efficacia.
Le altre parti sono ugualmente interessanti e ben scritte, in particolare mi è piaciuto il capitolo sul processo. Qui lo stile si fa diverso, meno sincopato, più disteso, come in uno di quei romanzi giudiziari che un po’ mancano nella letteratura italiana e sono invece diffusi in quella americana.
L’ultima parte è il luogo della rinascita, ma non facile, non definitiva ed è resa in uno stile essenziale, senza retorica, ma in alcuni momenti la frammentarietà dei gesti e delle parole lascia spazio a un respiro più ampio, con riflessioni sul ruolo di tutti i personaggi e anche della Chiesa e di Dio.
Il libro di Paolo Cendon è necessario e coraggioso. Non fa riflettere solo sul ruolo della Chiesa, ma sul tema della pedofilia, ad esempio nella parte sull’analisi vengono dette alcune cose su chi commette gli abusi che sono importanti e illuminanti.
Il libro fa riflettere sulle odiose connivenze, ma anche sul dramma di vittime così piccole, sulla presa di coscienza di subire un abuso, sul fatto che un dolore così grande si vuole eliminare, ma il dolore torna e si manifesta con prepotenza. Il libro parla anche di amore vero e del fatto che prendere coscienza è l’unico modo per guarire, forse quello che anche la Chiesa sia pure con lentezza e grande ritardo sta cercando di fare.
Anna, la protagonista, ha dunque scelto per raccontare la sua storia l’autore giusto per sensibilità e forza della parola.